bolgia di malacoda

Bolgia di Malacoda 16

Ecco un’altra band con i controcazzi. Perdonatemi lo sboccaccio ma quando mi eccito divento volgare, mia moglie ne sa qualcosa. I Bolgia di Malacoda oltre ad avere uno dei nomi più fichi della storia del rock Italiano, non deludono nei contenuti. Qualcuno potrebbe gridare ai nuovi Litfiba e c’è chi già ha fatto uno sposalizio esaltato tra la band fiorentina e Il Teatro degli orrori ma io sarò il primo a dire che i Bolgia di Malacoda sono semplicemente i Bolgia di Malacoda, una nuova realtà fumigante, luciferina, pestifera, sensuale, grottesca e schiattatrice.

Sono di Grosseto e questo è il loro primo album vero e proprio dopo un EP molto appetitoso uscito nel 2013 e intitolato A un metro da Decebalo. C’è chi tira in ballo il post-punk e il black per descriverli ma non si finirebbe mai di fare la ricetta al contrario di questo intruglio lappante e agro. I Bolgia (mi permetto di chiamarli amichevolmente così) hanno una genetica difficile da scaglionare. Sappiate solo che dei Litfiba possiedono la primigenea capacità di assorbire il dark-rock inglese (in Italia l’abbiamo chiamato sempre così) e un tocco di dantesca confidenza con l’oltremondo. Il cantato di Ferus scandisce le parole con la stessa struggente dizione di De André ma le inbruna della chemica furia di Pierpy Capovilla e della gigionerìa baphometta di Pelù mentre le chitarre del Pacciani e del Papi sciorinano una perfetta sintesi tra l’alternativo e il metallo sodo.

In particolare ci riconosco molto gli Slayer del periodo Diabulus In Musica: c’è quel rifficidio lì, di quando Hanneman volle gettare il mutandone di sfida al volto sonnacchioso e gonzo del Nu Metal e farcì di groove i soliti fraseggi. Poi sì, c’è anche la plettrata sganga del black nordico e se volete pure le armonizzazioni alla Maiden, però i Bolgia fanno un polpettone tutto proprio e tirano dritto tra sarcasmi, irriverenza e maledettismo schietto. Provatevi il crooning mefitico di Bimba Mia, refrattario a qualsiasi tipo di romanza; oppure digeritevi la boria solforosa di Attent’al prete.

Sapete cosa, sono grandi questi qui, però li sento e talvolta mi struggo per il loro futuro, perché in Italia dall’essere la nuova covata malefica del rock satanesco a diventare i Negramaro dal futuro purgatoriale è un pizzico.

A presto, se sono così gentili da concedermela, ne riparleremo in un’intervista. Eccovi sotto la copertina del disco. Molto fica.