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Lewis Carroll – Era un pedofilo? Vediamo…

Lewis Carroll è forse il più ambiguo e per certi versi sinistro autore di letteratura per ragazzi. Forse però dovremmo prima affrontare una diversa questione a tal proposito: spesso chi scrive un classico per l’infanzia non ha deciso di farlo. Swift e tanti altri dopo di lui magari non immaginavano neanche di essere gli artefici di mondi metaforici che fossero buoni per letture immature oltre che per quelle adulte. Carroll era un serioso matematico, un uomo molto religioso e un appassionato di bambine.

Chi ha detto pedofilo? In effetti l’ambiguità e la cupezza di certe ombre nelle avventure di Alice, l’atmosfera da sogno e da trappola, non sarebbero sufficienti ad alimentare dicerie e sospetti su questo singolare individuo, assai eccentrico a dir poco, ma è un fatto che Lewis Carroll amasse fotografare ragazzine e che domandasse regolare permesso ai genitori, pagando. Alcune delle foto avrebbero potuto essere dei nudi, ma pazienza. Lo scrittore garantiva una pura intenzione artistica. Alla base di Alice nel paese delle meraviglie c’era l’affetto e la profonda amicizia dell’autore per questa bambina, protagonista e ispiratrice di una delle storie più famose della narrativa infantile ebbe degli sviluppi incresciosi e un finale dubbio. Le pagine del diario risalenti alla rottura con la giovinetta furono, a quanto si dice, strappate dai famigliari di lei, per salvare la sua reputazione. Anche la carriera di fotografo finì più o meno bruscamente e senza specificazioni e ci vuol poco a pensare male, anzi malissimo.

Carroll però era un tipo sui generis. Durante la vita normale era un professore di matematica rispettabile e dedito alla propria missione di insegnante e studioso. Nel tempo libero diventava un genio incompreso di gadget assurdi e l’autore di filastrocche e racconti bizzarri che mandavano in estasi i bambini. C’è chi addirittura ha teorizzato un legame tra gli omicidi di Jack lo squartatore e la filastrocca del ciciarampa e quanto a meticolosità e senso morale, Carroll non era da meno dell’imprendibile assassino, ma a dire che lui fosse Jack appare un tantino esagerato.

La storia di Alice in fondo non ha nulla di malevolo e pericoloso. I bambini e le bambine si identificano con lei e adorano tutta la stramba fauna e flora del sottomondo in cui la piccola protagonista si imbatte e dibatte, ma a rileggerle da adulti qualche domandina si finisce per farla. C’è chi ha esaminato ogni creatura di Carroll alla ricerca del potenziale mostro ma in fondo cosa ci sarà mai di immondo in un coniglio con un orologio, un brucaliffo oppiomane, un uovo parlante, due gemelli macrocitemici  e con l’alopecia e una regina che vorrebbe far tagliare la testa a qualsiasi cosa?

Nulla, ma si avverte la sensazione che Lewis sia ogni essere che accoglie, sgrida, minaccia, insegue e persegue Alice. Lei deve imparare le regole di quel mondo alla rovescia ma in fondo il suo rapporto con il prossimo non è meno faticoso e battagliero con il mondo da cui è uscita e non saprebbe come ritornare. Gli adulti le insegnano cose che lei impara senza in fondo capirne l’utilità. La ripigliano per disubbidienze e leggerezze incomprensibili e la costringono magari a trascorrere un intero pomeriggio a sentirsi leggere un libro senza figure e dialoghi! È tanto peggio non prendere il the con il cappellaio e il leprotto marzolino o ritrovarsi in un processo per il furto di certe crostatine reali, di cui non è possibile trovare capo e coda?

Alice si fa sentire. È una bambina abituata a vivere nelle proprie fantasie e non fatica a entrare in sintonia con lo Stregatto o dei fiori parlanti ma quando è il momento di contestare non esita. E non teme di cambiar forma e sperimentar sostanze che glielo permettano. I funghi che trasformano, o le caramelle, hanno dato spunto per un’infinità di arte allucinata e freudiana insieme ma in fondo è palese la materia di cui è fatta la narrativa Carroliana. Possiede la folle sfacciataggine dei sogni, l’imperiosa bizzarria delle visioni oniriche.

Secondo alcuni il pedofilo tra i personaggi è la duchessa. C’è una regina ma anche una duchessa. Il primo incontro di Alice con lei avviene in una certa stanza dove una cuoca sparge pepe e una donna particolarmente brutta culla di insulti un bebé disperato. Alice se lo ritrova in braccio e lo vede trasformarsi in maialino. Pochi capitoli dopo la bambina si ritrova in un giardino con la stessa donna. È la duchessa che appare meno scorbutica e chiusa, anzi. Risulta molto accomodante e lasciva. Inonda Alice di detti e ridetti e intanto la tocca, le si stringe addosso, dandole un certo disagio e molta inquietudine.

Probabilmente è forzata un’interpretazione così cruda ma di sicuro non è il solo elemento narrativo che reclamerebbe un’interpretazione  psicologica audace.

Negli anni 90 fece scalpore, tra le tante sue trovate artistiche e musicali, anche la notizia che Marilyn Manson avrebbe girato un film su Lewis Carroll. Non se ne fece nulla e la critica tirò un sospiro di sollievo ma è ancora possibile vederne in rete il trailer. Sembra un horror surrealista alla Bunuel e Dalì ma passato nella padella mentale di John Wayne Gacy Jr.

Di certo la cosa non avrebbe favorito un ennesimo rilancio dei libri di Carroll. Forse nell’ambiente del BDSM ma non nelle librerie Feltrinelli, cosa che invece è avvenuta grazie al pur poco riuscito film di Tim Burton. Di lui parleremo più avanti. Basti dire che per quanto la sceneggiatura non soddisfi gli amanti della versione letteraria (ma neanche Disney ci era riuscito) e Johnny Depp sia il più sbagliato di tutti i possibili Cappellai matti, di sicuro i mezzi e il talento per riuscire ci sarebbero stati. L’attore in particolare sarebbe stato un perfetto Lewis Carroll e non escludiamo che prima o poi non gli tocchi anche quella di parte, visto che tra il Barrie dei giardini di Kensington e soprattutto Willie Wonka in stile Michael Jackson, potrebbe essere la perfetta chiusura di un cerchio tra Peter Pan e Alice di cui la pop star tragicamente scomparsa fu la perfetta sintesi postmoderna.

Lui mi aveva detto che la mia fica era dolce e che lui l’adorava. Mi aveva detto che avrebbe preferito morire piuttosto che smettere di amarmi. Io gli domandavo, in che modo moriresti? E lui rispondeva: in modo molto doloroso. Mi aveva promesso che non ci saremmo mai lasciati, che saremmo andati a vivere in Trentino, nella vecchia casa di suo padre e lì ci saremmo dedicati all’amore, la pastorizia e… Poi io mi feci il tatuaggio con su il suo nome e la data del nostro primo incontro. Lui non disse granché quando glielo mostrai e tempo due settimane e tre giorni, mi prese per le braccia. Mi stese sul letto con lui e iniziando a piangere mi disse che avrebbe dovuto lasciarmi perché una vecchia possibilità si era realizzata. Sarebbe andato a vivere in Olanda con un suo amico e lì avrebbero aperto un ristorante. Non capivo perché questo fosse motivo sufficiente per chiudere lì la nostra relazione. Potevo andare con lui ma diceva che non se la sentiva di portarmi. Aveva bisogno di farlo da solo. Forse un giorno sarebbe tornato e magari ci saremmo rimessi insieme. In caso contrario ero libera già da quel pomeriggio di fare ciò che meglio avrei creduto giusto. E io cosa cazzo dovevo fare? Lanciarmi sotto una macchina? Se ne andò per davvero.

Mi lasciò e io dopo aver pianto 435 ore di fila iniziai a pensare che le cose prima o poi si sarebbero chiarite. E così andò: circa 3 mesi dopo scoprii che stava con un’altra donna, a circa 2 km da casa mia. Lo affrontai, gliene dissi parecchie ma lui non fece altro che fissarmi senza reagire, tanto che a un punto pensai fosse un’altra persona e che somigliasse soltanto alla persona che avevo amato come nessuno al mondo. Ma era lui. Mi rispose che non sapeva come giustificarsi e che gli dispiaceva.

Tornai a casa e iniziai a ripulire la mia vita. Buttai i suoi regali. Non me ne aveva fatti molti. Un libro di Nick Cave. Alcune candele alla menta. Un tubetto di gel anale. Quattro corvi impagliati che si era fatto mandare dal Canada convinto che fossero appartenuti a una sedicente strega morta impiccata nel 1901. Poi mi liberai degli oggetti che in qualche modo si erano lordati di lui. Uno dei miei tre vibratori, quello blu che insieme chiamavamo Capitan America chissà perché. Poi c’era il gatto, non sopportavo che mi fissasse tutto il giorno, dopo che per settimane aveva osservato i nostri amplessi e le nostre litigate. Lo mandai via di casa. Infine i suoi file sul mio pc.

C’erano parecchie foto e un tentativo di racconto per un concorso su Horror.it. Per un attimo ebbi la tentazione di leggerlo ma da che ricordavo non doveva essere granché. Lo misi nel cestino con tutto il resto. Poi mi informai sul suo nuovo indirizzo. Non c’era altro da sistemare a parte quell’ultima cosa. Ricordo che quel pomeriggio pioveva e io tirai fuori la vecchia scatola di mio padre. Lui ci operava nel garage i cani e i gatti dei vicini. Non si faceva pagare granché, non era un veterinario, solo un infermiere che ne aveva viste e fatte tante al pronto soccorso. Feci tutto con molta calma e alla fine non ci fu molto da pulire. Preparai la scatola. La impacchettai e misi un fiocco viola.

Il viola era il mio colore e lui forse neanche se lo ricordava. Mi sono sempre chiesta cosa ricordi di me uno che mi aveva ingannato in quel modo. Quando ti ingannano così di brutto è dura ammettere che ci sono riusciti solo in un modo, grazie alla tua stessa complicità. Spedii il pacco e trascorsi il resto di quel San Valentino a bere e guardare un film con Raul Bova in TV. Dopo due giorni suonarono alla porta e mi ritrovai davanti un tipo con dei baffi appena accennati a fior di labbra. Le labbra carnose e belle. Era calvo e indossava un impermeabile come se ne vedono nei vecchi film. Mi fece delle domande. Era un giornalista. Gli spiegai che l’avevo fatto per chiudere definitivamente con quel bastardo.

Non c’erano intenti intimidatori, come diceva lui e non so chi altri. Dovevo separarmene e l’avevo fatto in via definitiva. Per renderlo partecipe gli avevo mandato il mio regalino. Insomma, quando uno ti lascia e ti prende anche in giro tu vuoi mostrargli quanto sei orgogliosamente determinata a sradicarlo dalla tua vita. Il fatto che fosse San Valentino era quasi una coincidenza. Non aveva grandi significati. L’avevo deciso tre giorni prima e mi ero resa conto di che data fosse. Non mi interessava pensare alla sua faccia e a quella della troia con cui stava. Era solo un pezzo di pelle, ricrescerà. Il tatuaggio invece è svanito e ora io mi sento senza dubbio un po’ meglio. Inizio a star meglio, ecco.