Il metal è cambiato. Non è morto e non sta male. Chi lo dice si prende in giro perché non riesce ad accettare di essere scollegato dal mondo, conchiuso nei suoi valori morali, nei suoi gusti generazionali, nelle sue tristi manie d’altri tempi. Una volta scrissi un articolo in cui ammisi di non capire più il metal poi però le cose hanno continuato a muoversi dentro di me e siccome io amo questo genere e preferisco aver fede che accettare di esserne tagliato fuori, ho cercato di modificare le mie impalcature generazionali. Il mio cervellino, i miei gusti, le mie certezze col tempo sono diventate incertezze ed è finita che oggi mi godo di nuovo il metal, ma non quello degli ultimi Megadeth o Iron Maiden, parlo di gruppi nuovi, con solo dieci anni di carriera sul groppone, tre dischi, o magari degli esordienti. Non sto dicendo che il genere stia alla grande e succedano chissà che cose ma scopro di riuscire a emozionarmi ancora e me la spasso come non capitava da un po’.
Forse ho capito che parte della mia insoddisfazione dipendeva dal mio stesso atteggiamento. Io al metal di oggi non offrivo le stesse possibilità che a 14 anni davo a gente come i Testament di The Ritual o i Death SS di Heavy Demons. Sto cercando di dire che se oggi il metallo mi appariva deprimente, noioso, innocuo era perché avevo smesso di concedergli fiducia. Bisogna faticare per godersi il metal e riguadagnar fede in qualcosa è dura.
Dopo una certa età lo è.
Almeno per me poi lo è stato anche all’inizio. Ho sempre dovuto lottare con una resistenza iniziale in fatto di musica. Quando sentii per la prima volta i Metallica o gli Iron Maiden non li apprezzai da subito. Rimasi sedotto più dall’idea di musica indigesta, paurosa per la maggior parte dei miei coetanei e mi ci schierai per partito preso, come se tifassi il diverso, il perdente, che era poi quello che io pensavo di essere. Con la musica però mi ci volle tempo, ascolti e riascolti.
Tempo fa mi sono ritrovato per le mani un album degli Obscura. Ecco, già dire così è falso e scollegato dalla realtà. Una volta presi in giro quelli di Brutal Crush perché descrivevano situazioni redazionali inverosimili per introdurre le recensioni, cose del tipo “sulla mia scrivania mi arriva il dischetto dei Smelma Vaginator e così lo inserisco nel lettore cd… ma che cazzo, eravamo ancora negli anni 90? Nel 2010 non si può più scrivere una cosa simile. Si tratta di un promo in mp3 e te lo ritrovi sulla posta del pc, lo scarichi sull’Ipod e te lo spari mentre vai in palestra o al lavoro o a far quel che vuoi. Quindi anche solo dire “mi sono ritrovato per le mani l’album degli Obscura” è falso. Ho scaricato il file mp3 dopo aver letto una rece su Metalinjection. Così va meglio.
Comunque, se qualcuno di voi non li conosce vi basti sapere che fanno progressive death, sono tedeschi e molto influenzati dai Death, i Cynic e Pestilence. L’età media della band credo sia molto al di sotto dei trent’anni e per uno che sta toccando i quaranta dar retta a gente più piccola provoca già una certa diffidenza. Dovrei badare alla musica, dire che la buona musica non ha età e che le band che ci hanno fatto battere il cuore più di tutte suonavano i loro brani immortali a diciotto anni (ok, ma io ne avevo 13 e da uno più grande riuscivo a farmi conquistare).
In ogni caso sentire un disco di 30 anni fa
dove i musicisti erano quindicenni non è la stessa cosa che sentirne uno appena uscito e tu ne hai 45. Oggi penso la stessa cosa che ha detto quel cazzone di Geoff Tate in un’intervista prima che la band dei Queensryche gli si ammutinasse: “cosa dovrebbe insegnarmi un ventenne? Come faccio a dar credito a un ragazzino?” E in effetti sento chitarristi fenomenali come i due degli Obscura e poi guardo le notizie anagrafiche: hanno 25 anni, penso quindi: per suonare così devono averne trascorsi almeno dieci a esercitarsi in cameretta tutto il giorno con le scale neoclassiche.
Non hanno avuto la possibilità di farsi un’esperienza là fuori. Cosa mi raccontano, a parte dei calli sulle dita e delle pippe che si sono tirati per sopravvivere a tanti anni di così monastica dedizione? Mi raccontano di draghi volanti? Di politica? Ma per favore.
Ok, ma qui si parla di metal, chi li legge i testi? Io.
E vi assicuro che anche se non li leggo devo aver fiducia sul contenuto dei brani. Devo sperare che parlino di cose importanti, “sentite” e non “risentite”. Altrimenti non riesco a prendere seriamente tutto il resto. Per dire, so che gli Opeth scrivono di cose profonde. Sono tre album che non seguo le parole e a fatica sto dietro alla musica ma so che loro ci sanno fare. Gli Hammerfall invece sono dei cazzoni e anche se la musica è bellissima so che il testo è un elenco di frasi stereotipate da dizionario metallaro-inglese inglese-metallaro aggiornato al 1990. Questo lo dico con il cuore tra le dita, non mi permette di godere una loro grande canzone. Non fino in fondo.
Ma a parte i testi e l’età, bisogna ignorare troppe cose per riuscire a godersi il metal attuale senza uno sforzo, se si è oltre la trentina. Per dire le fonti d’ispirazione degli Obscura citate sopra. Io nel 1993 avevo 15 anni e sentivo i Death. Nella loro musica c’erano tante influenze e attraverso Chuck Schuldiner mi ritrovai a sentire gli Holocaust, i Watchtower, i Mercyful Fate, i Rush, i Priest e così via. Un conto però è riconoscere i Death negli Obscura quando ne ho 38 di anni e loro escono con il nuovo album nel 2015.
Sentire ripetuta la lezione di The Sound Of Perseverance nei brani degli Obscura,
in alcuni frangenti al limite del plagio spudorato, blocca la mia mente a un livello troppo razionale, critico, appunto. E anche un critico deve a un certo punto diventare irrazionale, godersi un album che gli piace, volare, sognare. Se ha 12 anni e conosce tre dischi ci riesce spesso. Se ne ha solo il doppio e almeno 50 dischi nell’archivio del cuore le cose si complicano. Più ti orienti nel genere e meno ti lasci sedurre. Sei smaliziato e finisci per lagnarti di cose che a una mente più fresca e pura sembrano assurde. Questo chitarrista fa troppi assoli. Questo cantante canta su un registro sempre alto. Il suono della batteria è inscatolato. Nel 1992 ero in grado di gustarmi un qualsiasi album di Malmsteen, oggi neanche i suoi migliori.
Ma cosa è una recensione, ormai? Non quello che intende gente come il Fuzz. Oggi almeno per chi scrive in rete la rece è confronto. Non ha più neanche senso informare, a meno che non sia strettamente necessario al discorso. Non ha molto senso rifilare notizie su una band che il mio lettore può recuperare da solo in tre secondi. Vent’anni fa era utile e quelle notizie chi scriveva le aveva recuperate grazie a numeri telefonici esclusivi, assidue ricerche, una gran memoria, un archivio faticosamente nutrito e una cultura autentica. Oggi è tutta fuffa.
La maggior parte dei recensori di internet ne scrivono un’infinità di info.
Magari in una settimana recensiscono sei album, uno al giorno. Io pure ho tenuto un ritmo del genere. Grazie alla rete si può senza impazzire. Facevo come i narratori delle storie fantastiche, dovevo condire il resoconto di elementi reali per renderlo credibile (perché se io ascolto sei album in una settimana è assurdo pensare che li abbia sentiti a fondo e in modo attendibile.
Non basta ascoltare un album 10 volte in 24 ore, è interessante far riposare il cervello e ripassarselo anche due giorni dopo, per dire). Ecco quindi che farcivo la rece di notizie superflue sulla band: dove avevano registrato l’album, chi ci suonava il flauto traverso, quale oscuro musicista jazz aveva partecipato all’arrangiamento e così via. Una volta contattai direttamente la pagina facebook di un gruppo stoner americano per farmi dire chi aveva disegnato la copertina. In due minuti scoprii più di quello che chiedevo. Tutte informazioni che dopo un secondo e mezzo dall’averle scritte rimuovevo dalla testa ma che mi erano utili a far credere che sapevo tutto e giudicavo gli album consapevolmente.
La domanda sul perché facessi queste minchiate è inclemente.
La mia vita è un susseguirsi di sciocchezze. Il punto però è che internet mi permette un passo che nel 1994 un recensore di Metal Hammer sarebbe diventato sclerotico se avesse dovuto tenerlo. Questo mi obbliga a cambiare. Non posso scrivere come su una rivista. Non c’è più il contesto. Sarebbe come smuovere le zolle del mio orto con la zappa e lasciare nel garage il mio trattore con il trinciastocchi. Di conseguenza però io non devo arare un orto più grande ma risparmiare le energie per dedicarmi con più lena alla cura dei miei ortaggi, fare un lavoro più preciso e godermi la poesia della fatica, la soddisfazione dei progressi guadagnati.
I dischi oggi si scrivono in modo diverso e si registrano e suonano in modo diverso. C’è tutta una tecnologia informatica che permette livelli di precisione, di complessità impensabili anni fa. Che tutto risulti freddo e quasi disumano può trovarmi d’accordo ma in fondo è solo una trappola da pensare. Vent’anni fa Chuck Schuldiner avrebbe usato queste tecnologie per scrivere musica ancora più precisa e intricata, se avesse potuto. Ne sono sicuro.
Frank Zappa finì per sostituire
la gente con le macchine pur di mettere in musica le sue idee, qualcosa mi dice che anche il leader dei Death ci avrebbe provato. Quello che però intendo è che non possiamo sentire un disco di una band due volte e scriverne pensando di aver già sentito tutto quello che avremmo potuto e dovuto notare. Questo si poteva fare vent’anni fa. Oggi anche un disco degli Obscura o degli In Flames, ha così tanta roba dentro che occorre carta e penna e una bella sfilza di ascolti prima di decifrarli sul serio e conoscere il livello qualitativo del loro lavoro.
Questo avviene perché chi scrive musica rispetto a chi scrive di musica, ha già mollato gli scenari anacronistici di vent’anni fa, o li conserva in modo simbolico e li ricrea proprio grazie alle tecnologie. Anche il recensore dovrebbe mettersi al passo non solo in termini di velocità. La velocità della tecnologia non dovrebbe indurci a recensire più veloci e di più ma a rallentare e sentire in modo più approfondito ogni singolo disco prima di scriverne. La musica deve entrare nella nostra esistenza, bagnarsi delle nostre vicende, mescolarsi con i nostri ricordi. Solo al sesto o settimo ascolto io riesco a sospendere la ragione e tuffarmi nella musica e annegarci tutta la mia saputonerìa.