A proposito della disputa Muccino Vs Pasolini
C’è un fascino morboso per il Pasolini Pierpaolo polemico, corsaro, regista, intellettuale, comunista e ammazzato in circostanze mai chiarite. Rugoso, iconico, con quegli occhiali da zia. Dai vecchi filmati non si capisce il 60 per cento di quello che dice ma lo si ammira e ama. Ne consegue che tra lui e Gabriele Muccino il favore intellettuale vada al primo. Al povero regista de Il primo bacio ne hanno dette talmente tante che, da amanti dei deboli, quasi tifiamo per lui. Insomma, ha scritto sulla sua bacheca facebook ciò che pensa e anche se non l’avesse fatto non avremmo immaginato un’opinione diversa. Si vede da ciò che crea, predilige, ama anche, che quello che può pensare di film come Decameron, Salò o Accattone sia il peggio del peggio. Se Gabriele, artefice di commedie sentimentali per famiglie medie (e quelle altre cose americane con Will Smith) avesse detto che adora Salò sarebbe suonato inverosimile!
Ma non piace Pasolini regista? Legittimo, ci mancherebbe! Da qui però a diffondere la credenza che sia stato Pasolini a rovinare il cinema italiano, sgrammaticandolo e dando libero accesso a qualsiasi dilettante senza un’idea vaga di cosa sia il cinema beh, questa non è un’opinione, è un fatto non verificabile, un’insinuazione gratuita.
Se il cinema italiano, dopo Pasolini ha finito per sgrammaticarsi può essere dipeso anche dai suoi film ma non c’erano solo questi a incoraggiare gli incapaci. C’era la Novelle Vogue già dietro, c’era tanto cinema autoriale americano underground e Inglese. C’era stato Wharol e i suoi metraggi insostenibili. Per dire, nella mecca del professionismo spinto, ovvero Hollywood, nessuno aveva impedito (non definitivamente) a un ceffo come Ed Wood di mettere in scena i suoi deliri di travestitismo. Inoltre avete mai visto i primi film di De Palma con De Niro?
Ricordiamo però che, in Italia, la mondezza maggiore venne fuori dai cosiddetti professionisti. Negli anni 80 poi il nostro cinema divenne il più brutto d’Europa e in modo conclamato. Chiunque ci mettesse mano, da Monicelli a Fellini, da Sordi fino ad Argento, Leone, Bellocchio, Bertolucci (si salvava solo Scola) era una nube di manierismo, melassa e noia colossali. Era così pesante, denso, mattonale il cinema italiano degli anni 80, che metteva tristezza solo dai cartelloni esposti fuori dalle sale. Le recitazioni grevi, la logorrea, il blu, il bigiore, la totale mancanza di umorismo e di idee…
I migliori registi nella decade in cui Muccino si formò erano Nichetti, Moretti, Amelio, Benvenuti, Avati quelli che in qualche modo rompevano con il passato o vi si riconciliavano dopo aver squassato la tradizione e infilato sperimentalismi selvaggi. Costoro provavano vie più personali e meno fisse sugli anni in cui tutto il mondo ci invidiava il talento di certi autori. Persino il citato Avati, a cui Muccino deve moltissimo in molti sensi, era entrato nel mondo del cinema che conta partendo da un prodotto indigeribile di horror sotterraneo su un nano di nome Cagliostro. Immagino che anche per lui Accattone o Mamma Roma siano stati d’incoraggiamento.
Il più grande realizzatore di Colossal degli anni 80 (Bertolucci Bernardo) nacque proprio alla scuola di strada di Pasolini. Il suo primo film, La Comare Secca è una cosa che più Pasoliniana non si può. Il cinema si impara facendolo, diceva gente come Chabrol. Bastano due ore per spiegarne ogni aspetto tecnico, il resto è talento, invenzione, finanziamenti e tante illusioni. Sono più quelle fuori dall’occhio della cinepresa che quelle racchiuse dentro di esso.