Ballard – High Rise! Wheatley e la Jump toppano ma non era facile!

Ben Wheatley e Amy Jump sono una delle coppie d’oro del cinema horror di questo nuovo millennio e io stravedo per loro ma questo High Rise non è che mi abbia fatto impazzire. Tratto da uno dei più celebri e riusciti romanzi di James Ballard, Condominium (io possiedo la versione uscita su Urania, ma presumo vi siano edizioni migliori o almeno DOVREBBERO esserci), il film è forse la cosa più vicina al mainstream che il duo abbia girato in termini di mezzi, cast, estetica ma risulta freddino e a tratti vigliacco.

Intendiamoci, è un lavoro eccellente e sono sicuro che nessuno avrebbe potuto fare meglio di così, ma non basta a chiudere in pareggio con la versione cartacea. Ora, James Ballard non è uno scrittore tanto facile da capire. David Cronenberg, il regista più ballardiano che ci sia, in fondo riuscì a tenergli testa finché non decise di trasporre direttamente un suo libro. Il demone sotto la pelle è una versione grindhouse di Condominium, non è un segreto (Un palazzo dalla struttura avveneristica e ogni genere di conforto moderno che si tramuta, causa un parassita figlio di puttana, in una microapocalisse all’insegna del sesso e della violenza. Se eliminiamo il bagarozzo contaminante, è paro paro Condominium).

Ma se Cronenberg preferì trasformare in un mostro ben identificabile la fame di barbarie in seno all’asettico alveo futurista del romanzo, Ballard preferisce una via molto meno rassicurante e non spiega l’evolversi di un incubo sociale in cui l’uomo stesso, vittima del proprio cervello, sprofonda. Il condominio parte come ideale capolavoro architettonico della convivenza sociale tra classi che si odiano e diventa il teatro di una melma orgiastica dove la follia e l’euforia sessuale conducono duemila persone a sbranarsi vicendevolmente dietro le pareti di un edificio, mentre il mondo là fuori, continua la sua quotidiana lotta agli istinti e alla sopravvivenza.

 

Leggendo il libro ci si accorge di come alcune scelte narrative della Jump, in fase di sceneggiatura, non siano state proprio il massimo, soprattutto nella seconda parte. Per esempio l’omicidio del reporter Richard Wilder, da parte di tutte le donne che in tempi più salubri e repressivi si era scopato, appare quasi fuori contesto. Loro lo massacrano dopo che lui ha sparato a Royal/Jeremy Irons, guru tronfio e pazzo, ideatore del condominio, ma nel libro le cose non sono per niente collegate. E questo perché manca uno dei personaggi più fichi della storia: la gigantesca lesbica, scrittrice di libri per bambini, che alla fine diventa leader di una setta di ex-mamme soffocate, ex-mogli sottomesse, tramutatesi in assassine e cannibali di ex-uomini dominanti. Nella versione di Ballard, Royal finisce per essere un povero ex-maschio alfa, tenuto dalle femmine emancipate come animale domestico, ignorato e tollerato a patto che continui a strisciare e non pretenda nulla. Nel film loro sono il suo harem, pronto a vendicarlo su chi gli faccia male. C’è una bella differenza, no?

Delusione poi la scelta di trasformare il personaggio della sorella di Laing, Helen, in una vicina amica e basta. Il tabù dell’incesto in questo modo resta solo sulla carta. Anche lo stupro di Wilder ai danni della sacerdotessa sociale Charlotte, è stranamente tagliato. Sorprende perché fino a lì si è visto di tutto ma il ratto brutale, che del resto Ballard liquida in due righe, è solo intuito. Lui la tira per le gambe in un’altra stanza, come a voler isolare se stesso e la donna dall’occhio del pubblico. Poi c’è lo stacco, anche brusco, come un taglio censorio dello stesso Wheatley.

Mah!

La cosa che ci si chiede leggendo il libro, e di conseguenza anche guardando il film, è: come mai tutte queste persone si riducono in uno stato così preistorico ma non fanno nulla per fuggire, per allertare il mondo di cosa stia succedendo nel palazzo? C’è come una sorta di tacito accordo tra tutti gli abitanti del condominio. Vanno al lavoro la mattina perfettamente vestiti e ripuliti e poi la sera tornano a casa e riprendono a razziare, uccidere, rubare, violentare.

Ballard prova a spiegarlo ma solo chi, come me, ha superato qualche tabù e gli è stato possibile coltivare questo frenetico scatenamento dei sensi in una nicchia segreta in seno alla società stessa, può rendersi conto della smaniosa allegrezza che prende chi è davvero libero di fare cose che la morale comune e l’educazione repressiva hanno bandito dalle possibili esperienze di un individuo civilizzato. Immaginate di poter sfogare tutta la vostra rabbia, il bisogno di sesso, di possesso, di rivalsa, assieme ad altre persone che NON correranno alla polizia a denunciarvi ma tenteranno come voi di soddisfare i LORO desideri castrati. Ebbene, siete così sicuri di correre a chiedere aiuto? O non sarà che invece questa orgia apocalittica diventi il vostro nuovo nido protettivo in cui assaporare l’ebrezza di sentirvi davvero liberi di essere istinto, furia, follia?

High Rise non è un film irrinunciabile. Da Wheatley e la Jump però non era possibile aspettarsi di più. Plauso a loro per aver tentato di riportare all’attenzione uno dei romanzi più potenti e pericolosi della letteratura mondiale.

Ah, sapete? Ho trovato l’attore che potrebbe interpretare alla grande Lemmy dei Motorhead in un potenziale biopic: Luke Evans!

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