C’è un periodo nella vita d’un uomo in cui dopo solo una peroni la testa inizia a galleggiare, forse è anche la rabbia dovuta alla neve che mi ha letteralmente bloccato tra le mura di casa, spaccandomi le orecchie con musica mai ascolta, trattenendo conati di vomito ricolmi di rabbia.
Non vedo abbastanza roba, non leggo abbastanza roba, ma quando devo (non) suonare o ascoltare in modo sia passivo che attivo sono sempre in prima linea, vigile con le cuffie nelle orecchie.
Mi hanno invitato a cliccare mi piace alla pagina facebook dei Unyielding Love. All’inizio volevo fare un’altra recensione, targata 2017, ma poi mentre ascoltavo The Sweat of Augury tra un sorso di peroni e l’altro mi son detto ‘sti grandissimi cazzi negri con la sifilide’. Scapocci timidamente senza che nessuno ti noti, poi parte la penultima The Pregnant Hurt, col suo intro melodico. Scocca la lacrima, poi le urla. Si passa dal grindcore al metal (maybe black, maybe non so) con una facilità disarmante, per poi scapocciare duro, urlare, vomitare, ruttare. Scusate… BUUUURP!
Dicevo ruttare, desiderare altra birra, passare all’ultima Sweated Augury, guardare il tuo gatto, fargli il dito medio, uscire sotto la neve con la scopa in mano a mo di spada. Freddo io non ti temo, però cazzo mi hai rovinato la giornata.
Certi album ti appaiono nel momento del bisogno, e nei suoi venti minuti The Sweat of Augury mi ha convinto a parlarne, recensirlo, discuterlo, promuoverlo, apprezzarlo, ricliccare play, stappare un’altra birra, pensare che questo disco è sdangher. È sdangher perché è grindcore come piace a me, come piace a quelli come me. Che poi voi lo ascoltate o meno fotte sega, chinatevi sotto la mia scrivania, ma prendete il numerino che la fila è lunga.
Mentre mi auguro di svegliarmi domani mattina con le strade sgombre dalla neve e io cliccherò play ancora, e ancora e ancora, fino a quando non sarò stanco di ascoltarli.