Black Anvil – Come d’autunno gli opossum sul vostro scroto!

Quando è uscito Hail Death (2014), avevo tentato di descriverli come un misto di thrash, black e Jane’s Addiction. Riascoltando oggi quel lavoro non riesco a capire dove abbia sentito la band di Navarro, ma abbiate pazienza, al tempo io mi drogavo pesante. In ogni caso, anche oggi confermo l’ottima impressione che ebbi di quell’album e con una certa euforia vi esorto ad ascoltare questo As Was, uscito sempre per Relapse.

Leggendo un po’ in giro pare che il nuovo corso dei Black Anvil non abbia convinto molto ma se volete dar retta a quei siti esaltati per obbrobri indie sludge-doom indigeribili e noiosi, allora fate pure. “A volte non sembrano avere idea di dove vadano a parare!” dicono. Cosa che si potrebbe commentare su qualsiasi grande album di qualsiasi grandissima band al suo apice storico, non trovate? I Pink Floyd sapevano dove andassero a parare con The Dark Side? I Doors? I Metallica di Ride The Lightning? Io vi dico che questi americani Black Anvil, il cui nome suona buzzurro, semplicione ma in fondo grandemente fico, sono capaci di rischiare e spingere avanti il guazzabuglio di black tvue e thrash crauto con cui hanno iniziato a scalciare nel ventre di madre metal dal 2008, in una palude di arpeggi, melodie, rimpasti progressivi che sanno sul serio di viaggio in avanti, di spostamento, che è poi la creazione artistica: un passo in una pozza di buio. Possono infilare qualche vicolo cieco, ma chi prima di loro non ne ha beccati tra coloro che hanno scritto la storia del genere?

As Was è un disco irrequieto e imprevedibile: un bolo di lievito creativo che cresce ascolto dopo ascolto e continua a farlo nella parte più nera della vostra testa dopo che avete spinto stop e siete tornati alle consuete e sordide attività che vi si confanno.

Sono tempi in cui nessuno muove di un passo, in nessuna direzione. Le nuove band cominciano in un modo e così proseguono, senza evolvere. Le vecchie band rispolverano il proprio canone e guai a sfidare le aspettative del pubblico. Ora che nessuno avrebbe qualcosa da perdere e che i cd non si vendono (mentre i dischi sì) i gruppi sono ingessati in una specie di truismo vacuo e sempre più spento. I Black Anvil in tutto questo provano a crescere, anche a costo di scontentare il pubblico che reclama la solita broda black-thrash a testa bassa e dileggia le impennate emotive che in pezzi come la title-track e Ultra invece garantiscono agli ascoltatori dall’animo più aperto e disposto, leggiadri opossum vagolanti sullo scroto rattristato.