Qualcuno giurava di averlo visto in strada a chiedere l’elemosina. Vari siti hanno pubblicato le immagini raccapriccianti della sua automobile-abitazione. Era facile darlo per spacciato ma Chris Holmes, grazie alla moglie e un cambio d’aria decisivo nella vecchia Europa ha iniziato a vivere con dignità e all’insegna della creatività artistica. I suoi estemporanei ingressi in band misconosciute (Mean Man, Stonebreed) sembravano fuochi di paglia di un honky tonk metal man al capolinea dopo una vita di eccessi davvero insopportabili anche per le maniche larghe dello show biz. Poi è uscito il suo primo disco solista dal titolo emblematico Nothing To e come se non bastasse, a un anno di distanza, ecco a voi il secondo. E lui se ne sta lì sulla copertina, con l’aria sinistra di un mangiafuoco senza pizzicori salvifici al naso. I titoli delle dieci canzoni gli sono cuciti a pelle viva: Loser; Live, Work, Die; Shitting Brinks e l’esito complessivo è… indecente.
Gli W.A.S.P. per Chris Holmes sono sempre stati una camera di decompressione, la gabbia di un leone rabbioso e pazzo e nello stile ostico e luciferino di quella band lui portava la più pura ‘caciara’, distillata e usata come condimento speziato nel groviglio punk-glam di Lawless. E a sentir l’album è questo che troverete: il caos burino e indigesto di chi sul serio è nato per distruggere.
I dieci pezzi sembrano l’esordio dei Keel prodotto da Syd Barrett agli sgoccioli. Holmes alla voce racchiude Cash, Ozzy, Brian Johnson e Tom Waits che ubriachi marci cantano assieme dal fondo di qualche fogna. Chris Holmes è il succo di tutto questo. Sarebbe stato bello dire che i suoi eccessi avessero prodotto un miracolo di creatività e poesia, invece C.H.P. è solo il sunto di una mediocre session di vecchi riff andati a male e invettive contro gli spettri fuggiti dalle tante bottiglie di vodka che si è scolato in una vita ridotta a un gigantesco trauma cranico da sbornia.
Più rock di così si muore a meno che non siate Chris Holmes.