The Great Old Ones – EOD – A Tale Of Dark Legacy… Lunga vita agli antichi dei!

The Great Old Ones sono francesi, shoegazer in fissa con Lovecraft e stanno al terzo disco. Io gli altri due lavori non li ho sentiti ma a quanto si dice sono migliori di questo. Non fatico a crederci perché EOD non è malaccio ma si sente che il gruppo saprebbe fare di meglio. A parte il suono di merda che immagino sia voluto e d’ordinanza artistica, le idee ci sono, solo che a volte i franzosi le annacquano in sinfonie black ostinatamente lunghe e randomanti. Il tasso di umidità è talvolta insopportabile ma ci sono momenti in cui una brezza salmastra ci soffia incubi nelle cavità assetate. Specie The Shadow Over Innsmouth, titolo tra i migliori della scaletta, messo giustamente in apertura e che rimanda a uno dei racconti più celebri e rappresentativi di H.P. Lì le rampate black metal sono come onde d’acqua gelida e putrida che sferzano il nostro corpo nudo e febbricitante mentre i rallentamenti al centro, tra le chitarre che zanzarano concentriche e la batteria che rimbrotta di doppia cassa, assomigliano a brevi ingurgitate di sabbie mobili giusto per tenerci fermi prima che gli uomini riomare ci assalgano e ci fertilizzino le membra, perpetrando l’immondo connubio tra terra e oceano.

E a proposito di mare, l’altro apice dell’album è la chiusa di Mare Infinitum che magari può far pensare agli Ahab di The Giant (2012) ma qui siamo a livelli molto più deprimenti e malsani, inoltre i The Great Old Ones infilano le loro suite in finali che sono come cannoli melodrammatici di grande enfasi e che i mozzi di Cermania non saprebbero neanche dove menar di baita.

Il violoncello che aleggia sui cavalloni famelici consegna tutti noi agli abissi. L’immersione dei nostri corpi legati e imbavagliati è uno scroscio di chitarre latranti. Le profondità del mare ci lasciano ai pesci e piuttosto stendono un tappeto salmastro dalla spiaggia fin sotto ai letti dell’umanità dormiente, al fine di far varco alle pibe tentacolari di vecchi dei pazienti. Un coro di indefinibili ugole lagna sull’ineluttabilità della resa e la sconfitta. Lunga vita agli antichi!