Live After Death – Iron Maiden – Un live taroccato e fondamentale

Live After Death degli Iron Maiden, eh? Cominciamo alla grande col dire che è un live taroccato. Non fate quella faccia, già immagino che arriveranno minacce di tagliarmi le gomme della macchina nella cartella dello spam. Calmi, permette, lasciatemi parlare, prego! Del resto non dico nulla di nuovo, negli anni 80 andava di moda risistemare le incisioni dal vivo ripassando in studio le cose venute male. Cominciarono i Thin Lizzy un decennio prima con Live And Dangerous. Poi ci fu Live Evil dei Sabs, tra i più criticati perché venne male pure con le sovraincisioni in studio (Dio e Iommi ruppero il loro sodalizio proprio a causa delle sessioni di mixaggio laboriosissime, tra l’altro) ma anche il doppio dei Dokken del 1988 Best From The East ha destato parecchi dubbi sulla sua autenticità. Riguardo Live After Death non si sa effettivamente cosa ci sia di vero nelle voci di eventuali ritocchi posticipati. A quanto si dice riguarderebbero più che altro la voce. Blasfemia? Ma andiamo… va bene che noi metallari siamo nerd con le borchie e abbiano i nostri super-eroi, ma Dickinson dal vivo non riusciva a cantare Aces High né nel 1985 e tanto meno dopo. Quel pezzo in studio era così tirato al limite delle possibilità umane che ripeterlo ogni sera nel World Slavery Tour deve avergli sconvolto l’asse testicolare in modo permanente. Voglio dire, cantarlo saltando, correndo e come brano di apertura, per giunta! Un vero suicidio laringo-faringeo!

La prova del ritocco della voce del signor Dickinson è nel VHS del concerto. Ce l’avevate? Lo possedete ancora? Ricordate la scaletta tagliata rispetto al doppio in cassetta e vinile? Bene, ascoltatevi le due versioni di Aces High e ditemi se in video Bruce sia spiccicato come nell’album! Credetemi, nel filmato si nota fino a spingervi dietro la vostra comoda poltrona per vergogna riflessiva. Bruce non je la fa e ci si chiede se Harris non gli abbia rifatto lo scherzetto della cover di Cross Eyed Mary dei Tull, quando, ricordate, Bruce fu costretto a inciderla un tono sopra all’originale perché ormai era pronta la base e non potevano rifare tutto da capo. Era una banale cover da piazzare in b-side ma se siete sadici potete recuperarla e sentire gli schizzi dei frammenti polmonari che la “sirena” Bruce Bruce sparge sul microfono fino a renderlo dalmatico rosso-grigio. Riguardo il cantante più amato e famoso dei Maiden, per non ripetere ancora e ancora Dickinson, poi bisogna dirlo, è il solo singer ad aver cantato metal fino a farsi scoppiare la testa. Oltre alla voce crinabicchieri che possiede bisogna riconoscere che ha sempre fatto a meno dei falsetti. L’unico difetto è che a volte andava e va in debito d’ossigeno, e certi passaggi particolarmente verbosi delle liriche a orecchio diventano un babada babada bu badabaà badabuyeeeaaaah! Al di là di questo il doppio Live After Death è tra le cose più significative rimbombate nei padiglioni auricolari di intere generazioni di metallari. Riascoltandolo dopo 25 anni torna in mente la curiosità e il desiderio che una volta c’era attorno ai dischi dal vivo degli Iron Maiden, ripensate… vero, oggi siete saziati da decine di DVD e CD tripli o quadrupli elargiti alla rete e ai poveri collezionisti ogni due per tre dalla band ma nel 1985…

Quel live degli Iron Maiden era speciale, non siete d’accordo? Tutti i live rock un tempo erano un evento speciale. Servivano a chiudere una decade, una stagione creativa di successi o magari immortalare il momento magico, come nel caso dei Deep Purple di Made In Japan. Talvolta erano anche un vuoto inscusabile o mal coperto tipo Live At Last dei Black Sabbath o Right Here Right Now dei Van Hagar, ma in ogni caso la gente li desiderava fino a verso il 1992-96, quando la situazione degli umplagged sfuggì di mano al sistema discografico, provocando ripercussioni tremende: tipo che i Def Leppard e i Take That non si distinguevano più. Sentitevi Two Steps Behind e ditemi se non sembrano una boy band.

Personalmente a metà anni 90 avevo un bisogno profondo di ascoltare la versione dal vivo dei pezzi su disco dei Maiden. Di solito ne rimanevo deluso ma ogni tanto capitava magari che certi brani risultassero riusciti più in quella precisa versione da concerto che in studio. Per esempio su Live After Death un pezzo come Running Free trova la dimensione sua ideale. Risentirlo nell’album, senza il ping pong di yeah tra Bruce e il pubblico lo rende quasi imploso. Per non parlare di Die With Your Boots On. Versione live straordinaria, non credete?

Il doppio dei Maiden è forse l’ultimo che abbia lasciato un segno tra il pubblico. Chiude un’epoca in cui i ragazzi si lasciavano traviare da Live Killer, Alive!, Unleashed In The East o No Sleep Till Hammersmith. Forse l’ultimo disco in concerto a conquistare un po’ di gente è stato Tokyo Tales dei Blind Guardian… Difficilmente oggi un ragazzo impara ad amare il metal da un DVD dei Killswitch Engaged Live in Frisco. Non è nostalgismo da anziani del rock, è un dato di fatto… e nostalgismo, d’accordo.

Live After Death per prima cosa ha la copertina più bella della storia dei Maiden. Quante volte ho temuto per gli ignari inquilini di quei grattaceli, che non possono immaginarlo ma un essere gigantesco, disgustoso e molto incazzato è venuto fuori dal cimitero e presto avrebbe unghiato ai loro portoni! A tornarci oggi inoltre questo live è un documento che fa sorridere: sorprende per come certi classici futuri venissero accolti allora dalla platea in modo quasi tiepido. Provate a sentire la loffia ovazione non appena inizia a rintoccare l’arpeggio funebre di Hallowed Be Thy Name… e perché??? la totale assenza del coro nell’incipit di Bruce… “I’m Weitin in mai cold seal…” cosa oggi impossibile da evitare. La gente manda a memoria persino l’intro di Churchill se glielo risparassero all’inizio del concerto. Col tempo il pubblico ha talmente assimilato i pezzi dei Maiden che in un live si sentono gli hooo hooo persino sotto gli assoli. Ma nel 1985, l’introduzione di Number Of The Beast è lasciata echeggiare da sola sopra un tappeto di borbottii e fischi, mentre Powerslave o The Rime Of The Ancient Mariner sembrano ordinaria amministrazione da tour promozionale, a sentir la gente. Che poi anche qui si pensa che il rumore del pubblico sia finto, ma va beh…

E ora interrompiamo la divulga per una perniciosa nota biografica

Questi due brani, Powerslave e The Rime… nella mia testa di giovincello completamente all’oscuro dall’Inglese avevano tutto un altro contenuto immaginario. Visto che mi ero imbattuto per la prima volta nei Maiden (e il metal) grazie al film di Argento Phenomena, associavo alle atmosfere malate e tenebrose di quell’horror quasi tutte le canzoni della band ma in particolare queste due. La prima (sapevo un kaiser chi fosse Coleridge) veniva introdotta da Dickinson con una sfilza di parole di cui mi rimaneva impresso solo il finale, una roba tipo: babadababadabbadabonenensienshipson… de reim of di ensient mmmareneeeer! scatenava completamente la mia fantasia nell’intermezzo arpeggiato al centro, e con sopra la chitarra di Smith che aggiungeva note giocando con i volumi. Vedevo un investigatore col pastrano, il volto scavato e stanco di chi muore sul lavoro a due passi dalla pensione, che in una vecchia casa nel bosco, luogo di un tremendo omicidio avvenuto anni prima, comunica a un altro personaggio le atroci circostanze in cui proprio in quelle stanze polverose e diroccate erano stati trovati i corpi di una donna e due bambini, dilaniati da un mostro atroce, figlio di un boscaiolo il quale l’aveva partorito accoppiandosi con il Dio Pan o qualcosa del genere. Quel mostro non era mai stato preso e il cigolio che si sente (notate quanti effetti sonori in questa canzone rispetto al solito per gli Irons) per me era un rumore di passi pesanti su pavimento di legno vecchi, tarmato e in parte fradicio. L’urlo agghiacciante che apre Powerslave per me segnava l’incontro con quel mostro del commissario e l’altro tizio e poi una brutta fine per entrambi. Tattarada ttarada ttaradadaaa…
Non pensavo all’Egitto, le piramidi o altro. Per me quei brani erano la megasuite di un incrocio tra Lovecraft e Phenomena. Ancora confesso di rimasticarmeli in quel modo nel cervello, che volete…

Chiusa parentesi bio e ripartenza e chiusa su Live After Death!

Tutti i fans dei Maiden hanno sempre provato una totale indifferenza verso almeno un loro classico che altri amano alla follia. Per esempio c’è chi non sopporta Fear Of The Dark e chi detesta tanto per non ricitarla  quella palla lunga dodici minuti di Rime… (ignorando che poi la band avrebbe saputo infliggere punizioni ben peggiori al suo uditorio fedele). Per quanto mi riguarda non ho mai amato Iron Maiden. Il brano. Credevo che il pezzo intitolato come il gruppo fosse una roba irresistibile e invece non sono mai riuscito a capirla del tutto: una melodia troppo stramba e armonizzata al posto di un riff e un ritornello sgonfio, sia cantato da Dickinson che da Blaze o Di’Anno. Riguardo ancora la voglia di ascoltare i live degli Irons c’era questa cosa dei cantanti. Quando acquistai Real Dead e Live One il motivo era sia di sentire pezzi mai immortalati dal vivo, come Where Eagles Dare sia quei classici mai sentiti dalla bocca di Bruce, come Remember Tomorrow o Prowler. Pare che Bruce non si sia mai trovato bene con i pezzi dei primi due album (per non parlare di Blaze con i suoi). Non è un caso che Baley abbia cantato meglio quelli che tutto il resto della produzione della band fino a Fear Of The Dark. In ogni caso oggi, ascoltare i brani con Blaze riproposti da Bruce e tre chitarre (sperando magari che siano più pesanti di come appaiono su disco, dove la chitarra registrata è sempre e solo una) risultano tutti migliori. Nel 1993-1998 i Maiden dal vivo erano i peggiori in assoluto. Sostituire il certosino e composto Smith con lo “stradaiolo” (per non dire “mbrojione” Gers) non aiutò. La presenza prima di un singer svogliato e poi quella di uno che non doveva avere quel posto peggiorarono le cose. Oggi invece i Maiden suonano meglio dal vivo che su disco, ma ci vuole poco. Del resto, meglio così, visto che a ogni album seguono un sacco di versioni concertistiche e la band riscuote ancora un successo spaventoso per i suoi live.