A volte un album trascurabile può risultare comunque decisivo per l’esperienza di un ascoltatore. Molti dei dischi che comprai da ragazzino sono storicamente secondari ma mi aprirono un mondo. Anche adesso che conosco più o meno quasi tutto il metal che c’è stato fino a qui, capita di imbattermi in piccole risacche, sottocategorie snobbate o rifuggite a torto. Direi che con gli Ashenspire sono a un caso di questo genere. Il loro esordio Speak Not Of The Laudanum Quandary ha un titolo che incute timore e di sicuro c’è al suo interno una coerenza stilistica indiscutibile. Ci sono le chitarre black/rock e il piano classico, i violini, un basso jazzoso e l’interpretazione vocale del batterista Alasdair Dunn, che invece di cantare o berciare, interpreta i testi che sono sì poetici ma non in forma di versi. Sembra si tratti di una tecnica recitativa chiamata “Sprechgesang” e che risalga all’inizio del ‘900 e bla bla bla.
Insomma, roba tosta, colta che non può andare d’accordo con l’headbanging e le cornine, il pogo e la birra. Qui siamo più tutti in completo di Tweed, seduti a un tavolo di legno tondo con una barba hipster e dei calici pieni di assenzio. Però sapete com’è il metal? Non importa quali elementi si vogliano condire con esso, è come il nero che tutto divora e assorbe: gli Ashenspire potrebbero passare per un gruppo progressive e starsene belli impettiti tra le “novità” interessanti di Classic Rock e invece ecco che due riff alla Marduk li catapultano nel guado dell’hard ‘n’ heavy, al cospetto di schiere metallare tutt’altro che ben disposte. Qualcuno mi dice che sto sbagliando a dargli dei progsters, che questo è fottuto avantgarde. Conosco i Forest Of Stars? I Dodheimsgard? I Devil Doll? Ehm, no. Perché?
Semplice, gli Ashenspire sono un rimando evidente a queste tre belle bestie del sottosuolo tallarico. Vattele a sentire e dicci se non abbiamo ragione, dicono su Metalitalia e Truemetal. Vero. In pratica i Forest Of Stars sono quasi uguali ma probabilmente dieci volte meglio. I Dodheimsgard devo risentirmeli. E quindi ecco qui. Mi si apre un mondo. L’avantguard metal! E io che pretendevo roba di spessore da gente come Overkill o Holy Grail! Stavo mungendo un vitello. La mucca era questa.
Ho scoperto un’altra cosa interessante: la Code666, l’etichetta che ha deciso di pubblicare l’esordio degli Ashenspire, è italiana e pare abbia un catalogo di notevole qualità avantgarde. Truemetal la definisce “una delle poche certezze in Italia, in ambito metal”. Truemetal, capite? Ma Ricetti lo sa che gli scrivono certe cose sul suo sito? No, va bene, eh? Però dico, lo sa? Vado a guardarmi il catalogo su Enciclopedia Metallum e riconosco solo i Fen. Che non è mica poco. Code666. Mmmmh…
Quindi devo ringraziare gli Ashenspire per avermi fatto scoprire i Forest Of Stars (è ancora tanta la musica metal che dobbiamo goderci, cazzo!) e poi la Code666, che adesso terrò d’occhio con le nuove uscite e spulciando tra le vecchie.
Tornando a parlare di Speak Not Of The Laudanum Quandary mi accodo un po’ a quello che quasi tutti hanno scritto: è un buon inizio ma a tratti rompe il cazzo.
Interessante il concept che c’è dietro: sapete, no, il colonialismo britannico in tutto il suo orrore: aborti, fame, infezioni genitali, Jack lo squartatore, Dracula dandy che passeggia per le strade di Londra. A sentire pezzi come Restless Giants, Mariners at Perdition’s Lighthouse o la title-track vengono in mente le foto del Titanic o quelle dei testimoni che videro il mostro di Loch Ness, spezzoni della serie The Knick, prodotta da Steven Soderbergh con Clive Owen che fa il chirurgo eroinomane in un ospedale sull’orlo della bancarotta. I testi, nel poco che sono riuscito a capire usando google traduttore, hanno dentro quintali di liquame sarcastico, realismo spinto e costipazione emotiva.
Le musiche sono davvero belle. Se Dunn ogni tanto cantasse o screamasse, parleremmo della versione hipster dei Nevermore nel primo caso o dei Darkthrone riletti dall’accademia musicale di Belfast, nel secondo. Invece sono gli Ashenspire.