Au Champ Des Morts – Un dolce canto per la fine del mondo

Gli Au Champ Des Morts sono la next big thing di cui si vocifera nei  cimiteri della campagna normanda e nei più popolosi ossari trappisti della Francia meridionale. Il loro esordio è un misto di black esistenziale impepato di giuggiole shoagaze che ha fatto gridare al miracolo più di un nerd nell’emisfero metallico reticolare. I brani di questo album in effetti rappresentano una cruenta e nell’insieme seducente riflessione sulla vita guardata dalle orbite vuote di un teschio terroso, ma a tratti risultano un po’ troppo compiaciuti di star male, come tutto il post-black, del resto.

La grande carneficina è un languido poema elettrico di rimpianti e accuse, declamato con l’afflato di ectoplasmi delle nostre stesse solitudini, va bene, e noi vaghiamo senza scelta tra le macerie di questi brani la cui furia, (penso in particolare a Nos Décombres e Dans La Joie) talvolta suona un po’ di maniera. Nell’insieme gli ACDM sanno metter giù bene tutta la faccenda di quanto tutto sia inganno, sofferenza e putredine. E come si dice, gente allegra dio l’aiuterebbe se non fosse morto da un bel po’, ma le cose funzionano molto meglio nelle parentesi melodiche e d’atmosfera, piuttosto che in quelle furenti.

Nel finale, la ballata con voce femminile, arpeggi intimistici e versi in latino che si intitola La Fin Du Monde, è probabilmente l’apice: chi dice che il termine del nostro mondo sia salutato da scoppi e violenza? Molto più probabile che l’apocalisse avvenga come in un irresistibile sonno. Il letargo finale si arrampica sulle  membra cancerose dell’umanità ad avvolgerne il corpo sociale in una lugubre ninna nanna che trascina tutto sotto le montagne. Se potessi esprimere un desiderio, vorrei che la disintegrazione del tempo avesse il suono, la dolcezza e la tagliente bellezza di questo brano.