In una società annegata nella malattia del dover definire tutto e tutti ci siamo inventati un termine anche per questa pratica relazionale all’ultimo grido: il gosthing. Che sa davvero di ultimo grido. Il grido di chi il gosthing lo subisce però. Tradotto: hai appena conosciuto una tipa dal culo invitante in una circostanza più o meno probabile, te la sei fatta un paio di volte, ci hai scambiato anche quattro parole, ma poi non sai come levartela dai piedi? O ancora meglio: il tuo compagno con il quale condividi da anni casa, amici, quotidianità, carta igienica e pranzi domenicali coi parenti inizia a starti stretto, ma non sai come dirglielo? Sparisci. Muori. Sullo stile del Mattia Pascal pirandelliano, solo senza funerale. Senza nemmeno una bara, anche se vuota, su cui piangere per chi resta. Che poi se vogliamo fare un gioco di parole, tanto oggi ormai si gioca con tutto, soprattutto con le relazioni, gosthing in inglese vuol dire una cosa tipo “fantasmizzarsi”, diventare un fantasma. Ma se togliamo la h, che tanto molti in Italia la trovano spesso superflua, “go sting” allora vuol dire “andare a pungere”. Come la giri la giri la frittata ha sempre e comunque lo stesso sapore, doloroso e tremendo: quello del vuoto. Il vuoto che resta in risposta ai perché con i quali chi sta dall’altra parte si frigge il cervello e l’anima per un po’ di tempo, un bel po’ probabilmente, dopo che il Mattia Pascal di turno ha deciso di fingere la sua morte. Perché? Eppure Mattia Pascal sembrava così sereno, così soddisfatto della relazione. Addirittura entusiasta, a volte. Questo è l’ultimo prodigio del momento partorito dalla mente umana nel reparto neonatale delle relazioni. Non rispondere al telefono. Non rispondere alle mail. Rimandare indietro come risposta a chi fino a ieri ci aveva cercato tramite applicazioni, chat, lettere o piccioni viaggiatori semplicemente il nulla. Dall’oggi al domani. E allora quello che il gosthing lo subisce si spacca le mani sulla tastiera girovagando tra gli innumerevoli blog di psicologia, digitando la nefasta e straniera parola su Google nella speranza di trovare una spiegazione logica a qualcosa che di logico non ha una mazza. Perché nei blog, il professorone di turno dal titolozzo universitario incorniciato e appeso alla parete del suo studio, ti spiega tante cose, meno l’unica per la quale vorresti avere una risposta. Ti spiega che chi ha scelto di farsi inghiottire da un buco nero, quel Mattia Pascal lì, magari soffre di insicurezze, non ha un’intelligenza emotiva sufficientemente sviluppata da potergli permettere di affrontare con il dialogo un distacco dagli altri. Ti snocciola giù una bella lista di paroloni più o meno tecnici, come “narcisismo patologico” (ancora questa storia del Narciso? Ma non era morto affogato, ad un certo punto, Narciso?), scarsa autostima, mancanza di capacità di dialogo assertivo, sdoppiamenti di personalità, e chi più ne ha più ne metta. E quello che ha subito il gosthing, e che passa le ore digitando sulla tastiera, nel leggere tutto questo ha la sensazione dell’inutilità più totale. Perché la sua unica domanda alla quale vorrebbe una risposta è: perché proprio a me? E i blog non parlano mai a te, ma solo alla massa. Mentre tu sei tu, e i tuoi ricordi sei tu, e quello che avevi condiviso con la persona sei tu. E quei camici bianchi che scrivono sui blog, di quello che sei tu, e di quello che hai vissuto col fantasma, non ne sanno proprio niente. Di come adesso a sentirsi un fantasma per l’altro in realtà sia tu, e non quello che per te è sparito, non ne sanno niente. E allora provano a scrivere che chi il gosthing lo subisce dovrebbe focalizzare sull’incapacità dell’altro di relazionarsi in maniera sana e adulta, e non sulla propria e improbabile incapacità di essersi meritato una spiegazione. Ma non funziona, perché chi resta, chi diventa il vero fantasma, quello che non è visto dagli occhi dell’altro, quello che si sente trattato come un morto, non può fare a meno di pensare che dopo tutto deve pur aver sbagliato qualcosa se una mattina si è svegliato e la persona con la quale era in relazione fino alla sera prima all’improvviso sembra non esistere più. Un po’ come nel film “The Others”, dove i protagonisti credevano di vivere in una casa infestata e invece alla fine scoprono che gli altri, quei fantasmi, erano proprio loro. E allora si diventa il vuoto stesso che si riceve in risposta a tutti i nostri perché. Ci si sente appesi proprio al nulla. E nel tentativo di dire a noi stessi che dobbiamo farcene una ragione per qualcosa che una ragione non ce l’ha, ci sentiamo come se di punto in bianco ci avessero lobotomizzato una parte di cervello e di cuore. Eppure non ce lo siamo sognato, eppure le prove che quella persona esista in carne e ossa sono tutte ancora lì: i messaggi, le mail, le parole, i ricordi. I ricordi. Ma se digiti un semplice “perché” su Google, non esce la risposta che servirebbe a te. Che andrebbe bene anche qualora fosse “perché sei un cesso e non mi garbi”. Andrebbe bene sentirsi dire “Sono gay”. “Sono spostato”. “Sono malato”. E andrebbe bene perfino un indecifrabile, eppure proferito “perché è così”. Purché diate a chi resta una bara su cui piangere. E invece non puoi nemmeno piangere, perché la bara non c’è. E se c’è, nella bara ci sei tu. Non importa a quel punto perciò se la tua autostima è sempre stata alta o sotto ai piedi, se guardandoti allo specchio ti consideri sinceramente attraente, o se invece ti fai schifo. Non importa perché in ogni caso ti fa schifo tutto il resto e tanto ti basta a restare nella bara per un bel po’. Chi vive il gosthing resta sospeso a mezza via, né a galla né a fondo, nella melma dell’insulso. Senza poter nemmeno annaspare. E prima di tornare a galla ne avrà di punti interrogativi da vedersi passare intorno, e dentro, e saranno tutte lame. E chi il gosthing lo rifila al prossimo? Beh, di quei tristi personaggi non mi curo. Non adesso, non qui. Nella melma non puoi curarti di niente, se non di te, e con estrema lentezza poi. Quei personaggi, quei Mattia Pascal “de noialtri”, in ogni caso non si spaccano le dita sulle tastiere in cerca di risposte che non avranno. Perché sono persone che hanno paura. Paura di chiedere a se stessi, di chiedere in generale. Paura del prossimo, paura della libertà più autentica, che è quella di esprimersi, sempre e comunque, fino all’ultima goccia di sé. Paura di vivere. Ma nei blog seri questo non te lo dicono mai. E allora che restino morti. Mentre la società moderna è costretta a inventare neologismi dal gusto sempre più triste e amaro che non esotico, grazie a loro: quelli del gosthing. I veri “dead men walking”.