Capitolo 1 – False e vere ripartenze. Baloff, Zetro e Lucky Dukes!
Se non avessi visto da poco la band al Dynamo starei per dire che gli Exodus farebbero meglio a tornarsene a casa e appendere gli strumenti al chiodo: la prima mezzora di concerto è stata un autentico disastro, con Baloff sbronzo che non azzecca una strofa durante Bonded By Blood. Gary Holt prima rifila una testata a Baloff e poi urtandolo col manico della chitarra gli fa perdere il microfono tra il pubblico. (cit. – Live Report Metal Shock 1997)
Non abbiamo deciso di riprendere Souza alla voce perché riportava alla mente il modo come eravamo finiti mentre noi volevamo ricominciare con l’entusiasmo di quando avevamo cominciato (cit. – Gary Holt, Metal Shock 1997)
Peccato che quando la band tornò (con la formazione di Bonded ma escludendo il bassista Mckillop che ormai a detta di Holt non era più in grado di suonare i vecchi pezzi) le cose erano messe peggio di quando aveva mollato tutto. Nel giro di pochi mesi dall’annuncio e dopo le prime interviste promozionali i giornalisti iniziarono a sollevare dei dubbi forti sul futuro degli Exodus. I report dei concerti passavano dall’entusiasmo all’imbarazzo totale, dipendeva dalla serata in cui si esibivano. Inoltre la mancanza di lucidità nei progetti di Holt era preoccupante. C’era in vista un live dove il gruppo avrebbe riproposto Bonded… e poco altro, si parlava di un album da studio in cui gli Exodus avrebbero reinciso i brani classici del primo disco e poi si diceva che magari un giorno il gruppo avrebbe combinato qualcosa di più temerario, tipo un disco vero, mah…
Alla fine penso che un disco lo faremo, ci stiamo trovando bene e credo che verso l’anno prossimo potrà uscire qualcosa. Ho già pronti parecchi riffs per un totale di sette canzoni circa, ma te l’ho detto, devo smettere di essere pigro. (cit. – Gary Holt, Metal Shock 1997)
Dal 1997 al 2001 in realtà non capitò granché. Poi Baloff morì. Chi lo conosceva bene non si sorprese più di tanto ma la cosa fece aprire gli occhi a Holt, che iniziò a disintossicarsi, incoraggiando anche il resto della band a seguire il suo esempio.
Poi nel 2004, Souza sostituì di nuovo Baloff e il gruppo fece uscire Tempo Of The Damned. Anche grazie all’aiuto spassionato di Andy Sneap alla produzione, il disco risulta ancora adesso come un grosso bastone thrash su per il culo di tutti quanti. Penso che la prima parte, da Scars Spangled Banners fino a Forward March sia la cosa migliore incisa dagli Exodus post Bonded… e di sicuro i tre brani in apertura fanno la pelle a qualsiasi disco dei Goatwhore e Toxic Holocoust che dir si voglia. Sentite qui:
Red – the beautiful color of blood
Flowing like a stream
White – the color of bleaching bone
Lovely and obscene
Blue – the bruising color of flesh
Battered, ripped, and torn
And the colors of the flag of hate
Of violence and porn
Queste liriche, sbattute in faccia al mondo con insolenza e schizzi di bava acida mostrano alle nuove generazioni cosa era e cosa avrebbe ancora potuto essere il vero thrash, una mistura velenosissima di sarcasmo e rabbia, uno sguardo ultra-lucido sul mondo, un grido punk sormontato da un quintale di metallo fumante e non il giochetto revivalistico di toppe e birre di tutte le mezzecalzette in giro per l’undergroundperchéssì.
Come diceva qualcuno: smettere di drogarsi è come entrare in un fiume di merda e uscire sull’altra riva profumando come una rosa. (cit. – Gary Holt)
Tempo Of The Damned però fu un episodio. Souza mollò il gruppo poco dopo. Motivo? Secondo Holt non ci stava con la testa e metteva agitazione e tristezza nella band, per il cantante in parte era così, anche se le obiezioni sugli scarsi guadagni che non valevano la candela erano ragionevoli per uno che ormai aveva dei figli da mantenere e un buon lavoro fisso e soddisfacente da tenersi stretto. Partire in tour e racimolare pochi spicci non era più cosa per lui, almeno in quel periodo.
Dopo Souza, Holt mise alla porta anche il suo gemello inseparabile Hunolt. Ufficialmente perché il chitarrista voleva stare vicino ai suoi due bambini e ufficiosamente per una dipendenza tossica che lui non aveva intenzione di risolvere. Da questa potatura però gli Exodus si rigenerarono definitivamente. Shovel Headed Kill Machine per quanto mi riguarda non è mai stato il discone che in tanti pensano, però trovo sia buono, con una produzione meno convincente di Tempo… e soprattutto nella seconda parte dei momenti piuttosto prevedibili, però è un album che esprime entusiasmo e convinzione.
Capitolo 2 – Exodus – core
Il nuovo singer Rob Dukes sembra (proprio come per Souza all’inizio) una scelta discutibile ma è l’anello che congiunge il vecchio thrash alle nuove tendenze del genere estremo. La sua voce, l’attitudine guerresca e nichilista delle patatine fritte ispirano Holt alla grande. I due Exhibit magari sono insostenibili per lunghezza e ridondanza se ascoltati assieme, ma avvengono cose meravigliose lungo il tragitto. Gli Exodus per certi versi muovono sullo stesso terreno dei Kreator di Violent Revolution (non a caso anche lì c’è Sneap alla produzione) aggiungendo melodie, armonizzazioni e ritornelli cantabili a una matrice thrash in equilibrio tra le vecchie cose tecniche e i riff più minimali del dopo Robb Flynn. Gli Exodus guardano ai Lamb Of God e gli Shadows Fall ma senza scimmiottare nessuno. Tentano solo di estremizzare il solito thrash e vedere dove arrivano. L’idea di ispirarsi al libro La Mostra delle Atrocità di Ballard è, come si dice, speculare. Con il romanzo antologico dello scrittore inglese i due dischi hanno davvero poco a che fare: il titolo infatti è incentrato molto sulle religioni organizzate, oltre che la violenza e la perversità umana e non ha nulla a che spartire con le parentesi sardoniche sul perché ci si dovrebbe scopare Ronald Reagan o i risvolti stranianti dell’omicidio Kennedy raccontato come una gara di corsa in discesa da Ballard. Sarebbe stato interessante se la band avesse davvero tentato di misurarsi con la follia erotica delle pagine dello scrittore britannico ma Holt e Dukes (autori dei testi) hanno mosso le liriche in una direzione molto più moralistica e tipicamente metallara, prendendo di petto aspetti più prosaici e meno fantasiosi dell’atrocità umana: lo stupro di Nanchino, le gesta dei due serial killer Leonard Lang e Charles Ng, gli estremisti islamici, i falsi profeti occidentali e orientali, il massacro al Virginia Polytech Institute.
A livello musicale l’aggiunta di Les Altus come gemello di pattuglia di Holt alla chitarra è stata una gran mossa. Sono un fan degli Heathen e riconosco il contributo notevole di questo musicista sul materiale degli Exodus. Per quanto riguarda Dukes bisogna riconoscere che senza lui il gruppo non avrebbe mai scritto pezzoni come Children Of The Worthless God e Downfall. Rispetto a Souza è più grezzone, potente ma aggressivamente è piatto, come quasi tutti i cantanti di metal estremo moderni, però se spronato ha una certa duttilità esecutiva: sui puliti convince più di Zetro, che però resta a mio avviso il miglior singer della band, il più rappresentativo perché in grado di esprimere la vena sardonica e giocherellona degli Exodus, anche se con Dukes, Holt ha potuto dare sfogo a tutta la rabbia accumulata in tanti anni tra tossicodipendenze e fallimenti artistici, anonimato e giri in tondo.
Tempo Of The Damned in effetti andava già in quella direzione, era molto dark ed estremo per i livelli soliti raggiunti da Zetro negli anni 80/primi 90, e a momenti bisogna dire che il piglio del cantante risulti un po’ forzato in toni più estremistici dei suoi standard. Forse già da quell’album ci sarebbe voluto un Dukes… Sparatemi ma ho questo sospetto. Il doppio Exhibit è stato in ogni caso una bella parentesi. Riconosco la prolissità ma credetemi, c’è grande ispirazione da quelle parti. Se non vi ci siete mai misurati, fatelo.
Capitolo 3 – Ritorno a Thrashead (chi capisce la citazione letteraria gli faccio un pompino)
Zetro è parte della famiglia da secoli, chi meglio di lui? (cit. – Gary Holt)
Un po’ come per gli Overkill e i Testament degli anni 90, dopo aver condotto il genere verso suoni e stili più moderni, anche gli Exodus hanno optato per un cambio di rotta verso casa. Blood In, Blood Out è a oggi il disco più venduto della band dal loro ritorno nel 1997 ma come risultato non è che sia da festeggiarci sopra. D’accordo, con Dukes non poteva durare, quel ragazzo aveva il fuoco tra le chiappe, specie dopo le sue rinomate scorpacciate di alette piccanti ma voleva urlare sempre più forte tutto il suo odio per la pessima cucina e la cronica mancanza di fica e invece Holt, Altus, Hunting iniziavano a sentire una certa stanchezza da gente matura. La separazione era inevitabile e tutto sommato ragionevole.
Richiamare Souza ha reso felici un po’ tutti sia perché la sua separazione dalla band aveva preoccupato per lui, a livello umano, proprio. Oggi a vederlo, l’uomo pare che stia benone, è ricco di entusiasmo e voglia di fare con gli Exodus. Dukes vada pure con dio o il diavolo lo porti.
Però bisogna ammettere che Blood In, Blood Out non è così irresistibile, dai. Anzi, direi che per buona parte è fatto di riempitivi. Ci sono momenti fichi (Body Harverst, BTK) ma si avverte una certa stanchezza. Non diciamo palle, se Holt, mente e anima della band è impegnato con gli Slayer, è comprensibile che la sua voglia di dedicarsi agli Exodus sia un tantino viziata da questa situazione collaterale. Lo so che non scrive una riga per la band di Araya e King, lui suona gli assoli e li accompagna in tour, ma a proposito di questo, per dire non è ammissibile che la band, tolte le foto promozionali con il loro leader, sia poi partita per il mondo senza di lui e con in pratica le due chitarre della formazione attuale degli Heathen. Io li ho visti all’Agglutination. Sembravano una bravissima cover band.
C’è Zetro che fa le veci della vecchia guardia assieme a Hunting ma sembra tutto così strano senza Gary !
Blood In, Blood Out rispecchia questa anomalia. Holt l’ha scritto, suonato, ma l’album sembra congedato troppo di corsa, tanto per onorare un contratto. Ha un difetto di fondo rispetto a tutto quello che gli Exodus hanno realizzato negli anni 2000: non sfida il pubblico. Persino su Tempo… c’erano dei rischi, qui invece il gruppo offre ai fans quello che si presume vogliano: un disco thrash alla vecchia maniera come gli Iron Reagan non riusciranno mai a fare.tro Visti i risultati di vendita pare che fosse questa la mossa giusta, ma solo a breve termine. Del resto la band ha fatto abbastanza, magari ci sta che si prenda un po’ di riposo e amministri quanto ha creato e accumulato negli anni. Spetterebbe alle nuove leve scovare una prospettiva per il futuro del genere. Purtroppo i gruppi ggggiovani sono ancora più referenziali e compiaciuti dei vecchietti.
Appendicectomia: le copertine degli Exodus
Gli Exodus sono famosi per avere le copertine più orride della storia del thrash metal. A dire il vero è così per la prima parte di carriera. Da Tempo Of The Damned le cose sono cambiate abbestia ma vediamole una per una:
– Bonded By Blood ha questa immagine che sembra stata partorita da David Cronemberg alle elementari. Il disegno è abbastanza ben fatto ma a guardarlo meglio si nota un tratto troppo grezzo. Il cattivo gusto però è squisitamente metallaro. Un classicone, dai.
– Pleasure Of The Flesh invece non aveva questa copertina stile Bacardi thrash breezer. C’era una scena ispirata ai Cannibal Movie italiani che era pure una risposta a tutti i gufi che nel periodo troppo lungo di bighellonamento della band tra il 1985 e il 1987, davano per spacciata. Peccato che censurarono l’immagine e allora si ripiegò su questo bancone con i teschi e la band che occhieggia il mondo con tutta la propria confusione mentale.
– Fabolous Disaster è simpatica come copertina, ma forse è troppo ironica e macchiettistica. Tipo, del resto, anche quella di…
– Impact Is Imminent dove il gruppo è presenza fissa e gli artwork si trasformano in scenette fumettose innocue.
– Force Of Habit da un taglio alle critiche estromettendo la band e usando un quadro astratto di rara bruttezza.
– La palma per la copertina più schifa però è il Live del 1991 Good Friendly Violent Fun, dove una specie di superslot crinito, rimanda alle fanzinare violenze abortistiche degli esordi.
– Tempo Of The Damned è una copertina luciferina abbastanza classica ma discreta. Il demone che suona l’organo mentre dietro c’è il pubblico dei dannati è eloquente e in tono con l’atmosfera sulfurea del disco stesso.
– Sovel Headed Kill Machine mi ricorda una vecchia copertina dei Dismember. Potrebbe essere l’artwork inedito di un lavoro dei Sodom (e forse lo è). È burina come la canzone che da il titolo all’album… e un po’ infantile.
– The Atrocity Exhibition è simbolica, con l’angelo insanguinato e forse assieme e a quella di Exhibit B, con lo scheletro vitruviano, rappresenta l’apice iconico della band.
– Blood In, Blood Out sembra la copertina di un qualsiasi disco dei Kreator. Non va bene se la band è quella degli Exodus.
La discografia degli Exodus in pillole al cianuro
1985 – Bonded By Blood: Sangue, morte, violenza, stupriamo le vostre nonne e gli “zottiamo” la pensione, ma attenti al nucleare!
1987 – Pleasure Of The Flesh: Deludente e rivalutato con gli anni. Se la prendono tutti con Hunting e il suo lavoro di batteria, chissà perché.
1989 – Fabolous Disaster: Bel disco thrash, divertente e con un classico sulla violenza familiare da riscoprire: Like Father, Like Son.
1990 – Impact Is Imminent: Fan Thrash Only
1992 – Force Of Habit: Fan Trash Only
2004 – Tempo Of The Damned: Pensavate che avrebbero inciso una mezza ciofeca e invece ecco qui il discone della rinascita.
2005 – Shovel Headed Kill Machine: È tutto un “io sono l’abominio”, “tu fai schifo”, “io schiaccio teeeesteeee!” “adesso viene la morte e vi ammazza tuttttiiii, fanculo sono un rasoio, sono uno spaccaculo, sono Gary Holt con un ritorno di entusiasmo post disintossicazione da Amfe (che ricordate ragazzi, fanno male alla mente). Se smettete diventate come me: una macchina smascia teste de merd.”
2007/2010 – The Atrocity Exhibit – Exhibit A/B: Odissea thrashcore da cui è difficile uscire vivi. Il secondo disco si apre come chiude il primo, stesso giro di chitarra e si conclude con l’intro del primo. É una specie di uroboro metallico!
2015 – Blood In, Blood Out: Festa birraaaaa!