No non avete sbagliato blog, siamo sempre su sdangher. Non sentite l’aroma di sterco equino che v’inebria le narici? L’aroma dei peli del naso che si bruciano a ogni sniffata?
Una regola che mi sono sempre imposto è ‘non recensire album tuoi o dei tuoi amici’, ma se sulla prima posso porre freno, in caso della seconda il tutto mi viene più difficile, perché a me piace conoscere chi si nasconde dietro il nome d’un progetto o gruppo musicale. Dietro ogni strumento si nasconde un essere umano, con le sue mille sfaccettature fatte di risate, lacrime e racconti. Una serie di storie nascoste dietro ogni suono, che possono essere note o semplici ‘rumori’.
E di rumore oggi voglio parlare, ospite esclusivo Sergey Pakhomov, con il suo Cemeteries Of Shamans, prodotto dalla Dead Field Records.
Esagero forse a definirlo mio amico? Eppure considero sacro il legame che ho costruito con Sergey. Mi ha aiutato molto e sono felice di conoscerlo.
Nel privato, dopo aver avuto già modo di trovare il suddetto Cemeteries Of Shamans tra i vari gruppi su facebook, lui mi consigliò di ascoltarlo per dargli sempre in questo angolo di segreta masturbazione celata agli occhi del pubblico una mia eiaculazione. No, io sono più un tipo da bukkake, perché il dolce seme deve piovere a fiotti su questo disco.
L’ho preso in un periodo nero della mia esistenza, quindi il mio ascolto è stato fuorviato da sentimenti cupi celati nel mio animo, eppure non m’ha lasciato insoddisfatto, perché comunque quel vuoto dentro di me sarà incolmabile per molto tempo. Però cerchiamo di riempirlo un disco alla volta.
Se mi dicessero questo è una registrazione live, più che dargli ragione non potrei. Un inizio sospeso in slow motion, mentre un amplificatore rilascia un feedback cupo. La sfaccettatura death industrial è predominante, mentre qualcosa che ricorda un accendino a ritmo lento tenta d’accendere una sigaretta. Il pubblico può solo immaginare quindi questa scena di Sergey al centro d’un cimitero, una notte in cui anche i fuochi fatui concessero al buio d’avere la meglio. Un tamburo ravviva il ritmo, rendendo chiaro che invece non è il disco a essere in slowmotion, ma è il nostro cuore ad aver solo rallentato la percezione del tempo. Il tempo è solo un’opinione.
Finito il tempo delle mele, la forza di gravità ci fa scontrare con un muro, perché Sergey è famoso sopratutto per i suoi muri. Ruvido, duro, statico. Questa non è musica per tutti, anzi non è musica affatto. Se già l’introduzione era un difficile cammino per il neofita di turno, ciò che viene dopo è la sfida anche per l’ascoltatore più hardcore tra quelli che frequentano sdangher. Bisogna prepararsi a farsi male, graffiarsi la pelle del viso, sanguinare e attendere tra le lapidi che la tempesta finisca, sotto al cielo, duro come l’asfalto, perché siamo caduti, col viso rivolto a terra e abbiamo perso cognizione della prospettiva. Cosa è vicino? Cosa è lontano? Dove finisce la terra e inizia il cielo?
In conclusione, la parte che più odio quando scrivo, rubatevi un attimo della vostra vita. 45 minuti del cazzo, rinchiudetevi in in cimitero, che può anche essere il vostro letto se avete una vita sessuale simile alla mia mano sinistra, copritevi le orecchie con delle cuffie, vanno bene anche quelle dei cinesi e cliccate play.