Bizarre Uproar – Dekadenz

Perché proprio Dekadenz dei Bizarre Uproar? Avrei potuto pescare uno dei loro classici passati, oppure optare per l’ultimo arrivato Sikiöasento.

La prima cosa che m’ha colpito è stata la cover, il ritratto d’un attitudine decadente, d’un attitudine punk, anche se delle creste qui non v’è neanche l’ombra.

Se un amico mi chiedesse ‘con quale disco dei Bizarre Uproar dovrei iniziare?’ gli risponderei ‘fottiti, che tu manco la power electronics ascolti’. Parlando di Dekadenz, non voglio dire che sia di facile assimilazione, però contate che sono quattro tracce per meno di quaranta minuti, di cui l’ultima sola ne dura venti.

Non so se qualcuno di voi ha mai ascoltato gli IRM, gli ultimi. Dietro a quei muri di noise e synth v’è anche un basso, ma non uno qualsiasi: Mikael Oretoft, ex bassista dei Katatonia in Discouraged Ones. Ecco lui non centra un cazzo con i Bizarre Uproar, se non per l’uso del basso, qui nelle mani d’un uomo maiale. Non conosco il suo nome, non voglio saperlo, ne mai vorrò. Suona dal vivo con una maschera di maiale, fine discorso.

Rumori assordanti, voci e urla che semplicemente raccontano una storia, non la capiremo mai, seguite da decadenti ritmiche lente di batteria, ma anche qualcosa che ricorda quasi dei rumori registrati in una fabbrica.

Alistusakti è quella che m’è rimasta più impressa nel suo essere cupa, mentre Vaurio, così minimalista, è il vero ritratto di quel fotogramma della cover, più vicina a una jam doom punk in cui il cantante legge una poesia a un pubblico trucidato tra le fiamme infernali, come un Dante che recita i suoi versi in un girone dei dannati.

Damage, la conclusiva, vede infine l’arrivo del basso. Ora, qui si apre un discorso che ebbi col padre cavallo, in cui mi propose di creare la prima vera band pornogrind che usa ‘veri maiali’ alla voce. Ovvio, li avremmo campionati, o avremmo comprato una scrofa e l’avremmo masturbata per farla urlare. Cosa c’entra questa digressione? Nulla, a parte il maiale.

Immaginate i Khanate, registrateli dal vivo, drogate il batterista, regalate un maiale ad Alan Dubin, i funghi allucinogeni a Stephen O’Malley e collegategli un synth alla pedaliera.

Attenzione, un ascolto ripetuto della album può creare allucinazioni e disfunzione cognitiva dello spazio e del tempo.