Assieme ai Napalm Death, i Carcass sono la band che ha definitivamente lanciato il fenomeno grindcore e immerso nel brodo di giuggiole il contenuto delle mutande del dj John Peel. Lui li sostenne alla grande con la sua popolare trasmissione in radio. La band, oltretutto nasce da una costola dei Napalm. Bill Steer, subito dopo averli abbandonati rimise in piedi IL progettino che aveva già in ballo con un due compagni d’infanzia: Jeff Walker e Ken Owen. La sorpendente peculiarità dei Carcass è che artisticamente hanno avuto una parabola che è partita da un estremo indigeribile del metal fino al recupero del tradizionale sound classico. Nell’arco di sei album hanno influenzato un sacco di gruppi, ognuno con i propri dischi feticcio da cui trarre non solo ispirazione ma una sorta di modello sonoro e compositivo a cui attenersi in modo rigido e devoto.
Sono poche le band che vantano fin dall’inizio delle band così, conquistate dall’esempio dei Carcass, al punto di mostrarsi dichiaratamente emulari senza ritegno (General Surgery, Exhumed).
Di certo la proposta di Steer e Walker, soprattutto all’epoca di Reek Of Putrefaction era geniale, seduttiva e apparentemente facile da imitare: brevi scariche orgiastiche di rumore e grugniti, liriche (c’erano eccome) desunte pari pari da testi di medicina legale.
La cosa fica dei Carcass era infatti questa attitudine immersa nella carne e tutte le sue epiche purulenze ed emanazioni descritte in modo freddo e scientifico, insieme al fatto che il gruppo fosse composto interamente da vegetariani e vegani!
Inoltre questa scelta di ricorrere a testi di autopsie e musicarli in modo fulmineo e frastornante, creava un contrasto davvero ironico. E quello era un periodo dove le band estreme si limitavano a storielle sataniche, festini cimiteriali o squartamenti multipli nell’auto di qualcuno.
Impensabile poi che il gruppo da quei bagordi rumoristici potesse trasformarsi nei “Metallica del grind” (e per tanti con Heartwork lo sono stati).
La storia dei Carcass si regge su tutta una serie di paradossi, tra cui quello di riportare in auge soluzioni armoniche e strutturali cadute in disuso a causa delle band death e grind di inizio anni 80. Furono infatti proprio loro, con l’aggiunta dell’ex Carnage Mick Amott, a reinserire certi riff in stile bay area e melodie in controcanto di scuola NWOBHM, avviando un recupero della vecchia scuola, divenuto poi negli anni un patologico rifugio di autocompiacimento per l’intero genere.
I Carcass passarono da quei testi da macello e chirurgia pestifera a qualcosa di più complesso e introspettivo, già a partire da Heartwork (il loro best seller). E continuarono il percorso verso gli anni 70 nell’incompreso Swansong. Disco che temporaneamente gli costò la vita.
Le strutture divennero sempre più basilari, rock, i suoni meno pesanti e aggressivi e se già le cose in quel frangente si erano fatte davvero difficili per il metal estremo, anche il pubblico che li aveva amati proprio per la loro estremità si sentì tradito dai Carcass e li abbandonò poco dopo che loro ebbero mollato tutto quanto ufficialmente.
L’addio di Bill Steer costrinse Jeff Walker e Ken Owen a chiudere la baracca. Senza il chitarrista sarebbe stato impossibile andare avanti con la band.
Nel corso dei dieci anni successivi la gente però sentì sempre più la loro mancanza, reclamando una reunion che si concretizzò all’inizio del nuovo millennio, inizialmente con Amott (tra un impegno e l’altro) e poi senza di lui per il ritorno ufficiale in studio.
Surgical Steel è il miglior episodio di tutta la fuffa del fenomeno reunion e revivalismo spinto, un album che non riparte da Swansong ma mescola insieme gli elementi creativi di quel disco con i due precedenti. Il gruppo oggi sembra avere intenzione di proseguire. Non si sa dove e come. Siamo curiosi.