È inutile cercare il pelo nell’uovo (che ci sarà anche qui per carità) i Ghost sono una grande band con qualcosa di vero da dire e da dare, ammettiamolo e godiamone. Al terzo album confermano ancora una notevole ispirazione e la capacità di stupire il pubblico, il coraggio di non dargli una copia sbiadita del disco caposaldo. Stiamo assistendo alla loro crescita sul piano produttivo, creativo e fortunatamente anche delle vendite. I Ghost un giorno raggiungeranno un pubblico molto vasto e i metallari che già li guardano con sufficienza e sospetto li disprezzeranno apertamente ma peggio per loro: che se la spassino con i Deflorator Mom.
Già Kerry King li ha scomunicati dopo che James Hetfield aveva detto invece un gran bene, segno che i Ghost sono sulla buona strada del mainstream di qualità a cui anche il rock ha pieno diritto di contribuire, di tanto in tanto. I Ghost poi non hanno bisogno di sponsorizzazioni, non più, ormai se la cavano bene da soli con l’unica cosa che conti sul serio fin dall’inizio: la musica.
Apparentemente sembrano provenire da qualche polveroso archivio vinilico e invece sono modernissimi. Non è mai esistita una band come loro nel passato, ma decine di grandi gruppi rivivono nelle loro canzoni e tutti più o meno alla pari, senza togliere ai Ghost stessi la propria pura essenza cannibalistica. Blue Oyster Cult, Abba, Black Sabbath, Black Widow, Styx, Mercyful Fate fanno capolino grazie a un riff o a una melodia ma in fondo non ci dimentichiamo mai che NON stiamo ascoltando una banale e nerdosa emulazione. Questi sono i Ghost, gente. Affrettatevi numerosi al prossimo loro avvento nero.
Attualissimi, comunque. Nerd retromaniaci, progettati fino all’ultimo particolare da un one “mind” band che ha già avuto precedenti gruppi molto diversi tra loro: Tobias Forge, reo confesso giusto un mesetto fa. Quello in cui i Ghost differiscono dalla maggior parte dei gruppi moderni volti al passato, tipo Graveyard, è l’abilità incontestabile di creare melodie seduttive e infallibili nell’accalappiare cuore e mente, “infestando” la nostra vita emotiva.
A partire da Elizabeth nel disco d’esordio, passando per Year Zero del secondo Infestissumam, per approdare alle ariose liturgie blasfemistiche di From The Pinnacle To The Pit e Cirice, la band sa con quali ritornelli canterini nutrire il nostro bisogno di emozione e affezione.
Dopotutto sono dei fottuti svedesi dal talento ineccepibile per la canzonetta, sarà per questo che da sempre si dichiarano appassionati di musica pop rock italiana! Questo terzo album riguadagna un po’ di robustezza, persa nel missaggio inopportuno del secondo Infestissumam e allarga ancora le ambizioni e la ricerca sonora di più al prog e la coralità già spizzicata nel disco numero due.
Soprattutto dall’ultima parte di Mummy Dust appare chiara alla mente dell’ascoltatore una visione ecumenica, da arena rock, in cui Papa Emeritus agita le mani su un conclave vastissimo e schiere di fedeli posseduti che sbavano e sprizzano venerante e dionisiaca afflizione. Pifferai diabolici i Ghost, ci condurranno sul bordo di un abisso di fiamme e luce, come cantano in He Is, la ballad luciferina di struggente e romantica lascivia.
Rispetto alla cultosità underground suggerita dell’esordio, Meliora grida al mondo intero un “dittatoriale invito”. Le chitarre armonizzate alla Eagles, le tastiere di scuola Yes, le linee melodiche AOR in stile Toto e Survivor (penso soprattutto al finale di Deus In Absentia, Majesty e Absolution) producono un’immagine da evento collettivo gigantesco.
La musica cresce e si apre di pari passo al successo e i mezzi. Meliora probabilmente non supera il primo e il secondo album per qualità e idee, è più una confortevole conferma in attesa delle nuove sfide che verranno ma la percezione dei Ghost come un fenomeno prossimamente e genuinamente pop è più di una sensazione. Non si riesce a vedere quanto potranno essere grandi e questo è un bene, amici miei. Viva Asmodeo!