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Neil Peart entra nella band e la febbre sale

Quando Neil Peart entra nella band, i Rush hanno avuto tempo di girare in tondo fino allo sfinimento e concedersi anche il lusso di cacciar via Geddy Lee. Il primo disco ufficiale, in cui si fatica oggi a riconoscerli, potrebbe anche essere il capitolo conclusivo della sgangherata ascesa. Soprattutto la discesa di una delle innumerevoli combinazioni umane del pur fertile panorama musicale canadese.

Poi entra Neil Peart e le cose diventano come il mondo le conosce ora e probabilmente come le conoscerà nei secoli a venire.
Neil Peart nasce ad Hamilton, città canadese dell’Ontario meridionale, nel 1952. Primo di quattro figli, il suo impatto con la musica non è dei più entusiasmanti. Comincia con il pianoforte ma non scatta alcun feeling particolare.

Forse le sette note non sembrano per lui anche se per tutto il giorno, in casa, il ragazzino non fa altro che picchiare su tutti gli oggetti che trova con un paio di bacchette cinesi. – Tutto il giorno così, non la smette mai, c’è da uscire pazzi!” pensano i genitori e si domandano se sia una compulsione o qualcosa da collegare al sesso…

Keith Moon docet

Per i suoi quattordici anni i genitori decidono di vedere se la smette di rompere vasetti e bicchieri comprandogli una batteria. Peart molla le posate a mandorla e inizia subito a studiare lo strumento, frequentando un conservatorio e approfondendo per suo conto fino all’ossessione l’esempio di Buddy Rich, considerato ancora oggi il più grande esempio di batterista a livello mondiale sia per la tecnica, che l’originalità e la musicalità.

Non fraintendete però, assieme al jazz Neil Peart va matto per il rock and roll. Keith Moon degli Who lo fa letteralmente impazzire e Bonham è una sorta di oracolo estetico oltre che creativo.

Neil Peart e i Rush

L’inserimento nei Rush è determinante per la band e per lui. Prima di loro non è che le esperienze nei vari gruppetti in cui entra siano così folgoranti. La poetica e lo stile di Neil Peart saltano fuori con tanta prepotenza subito dopo aver unito le forze a quella band. E questo perché lì il batterista trova il laboratorio e gli assistenti ideali con i quali dare il via ai suoi esperimenti musicali e compositivi.

Il livello tecnico di Neil Peart è sbalorditivo. Il talento singolare per la composizione aumentano sia la complessità stilistica della band che l’imposizione di un nuovo stile musicale molto originale. Con lui tutto è più sofisticato e colto rispetto alle cose zeppeliniane fatte fino a lì dalla band.

Neil scrive anche i testi e li riempie di riferimenti letterari a Shakespeare, Dos Passos, Tolkien e tutta la fantascienza pulp. I primi due dischi incisi con lui da Lee e Alex Lifeson, Fly By Light e Caress Of Evil esprimono un corso inedito che trova consolidamento e consacrazione nei tre successivi capolavori. 2112, A Farewell To King e Hemispheres.

Rush nazisti vs punk!

Purtroppo l’ottimo periodo artistico viene guastato da un’accusa di sottosignificati nazistoidi nei testi. La cosa assolutamente infondata visto che due membri dei Rush su tre sono di origine ebraica. Inoltre l’avvento del punk spinge il pubblico al boicottaggio delle band “complicate” e pompose.

I Rush per certi versi sono forse più punk di tanti gruppuscoli emulatori degli insopportabili Pistols. Apparentemente però rispondono all’identikit demonizzato da Johnny Rotten e quindi vengono ignorati dall’odience modaiola.

Neil Peart non si perde d’animo. Invece di perseverare con il prog e schifare la rivolta di gente come Clash e Ramones ne trae spunto e spinge per un rinnovamento stilistico dei Rush. Per prima cosa inserisce molta elettronica nel tessuto hard prog, rivelandosi un pioniere nello sposare le nuove tecnologie alla classica batteria acustica.

Per i testi invece abbandona le iper-realtà distopiche tratte dai romanzi di Any Rand e punta su tematiche più razionali e tipicamente rock. Moving Picture (1981) spinge al massimo in questa direzione, con canzoni sempre più corte e fruibili, anche se ancora molto difficili da eseguire.

Il successo

Il successo del disco, grazie a hit epocali per l’hard prog come Tom Sawyer, Red Barchetta e XYZ, sembra portare finalmente a Neil Peart un periodo di soddisfazioni e tranquillità economiche. Le cose in effetti vanno bene per tutti gli anni 80; così bene da pensar male. Infatti l’inizio della decade successiva si rivela la più dura e combustiva di tutta l’esistenza del grande batterista.

Prima c’è una nuova onda rivoluzionaria nichilista, quella del grunge che, come il punk, inimica le band rock di successo pluridecennale al grande pubblico. I Rush devono trovare nuove strade se non vogliono essere catalogati come “dinosauri”.

E poi arriva la parte peggiore in assoluto: muoiono prima la figlia di Neil Peart in un incidente stradale e successivamente la moglie a causa di un tumore. Chiunque si lascerebbe travolgere da un simile cataclisma sentimentale. Anche Neil ne risente a livelli molto profondi, tanto da non riuscire più a dedicarsi alla musica e ai Rush.

Tornare prima a vivere e poi a suonare

Comporre, suonare non sono esorcismi liberatori per tutto quel dolore ma sommano lo stress e la fatica di un lavoro mai così pesante ed estraneo alla situazione esistenziale del musicista.
Così prende una pausa a tempo indeterminato e comincia un viaggio in motocicletta da cui verrà fuori un libro molto intenso e commovente intitolato Ghost Rider.

Per un ritorno ufficiale alla musica i fan dei Rush devono aspettare quasi dieci anni, durante i quali Neil si rigenera, trovando persino la forza e la voglia di risposarsi. La nuova moglie è la fotografa Carrie Nuttall con la quale nel 2008 avrà anche una figlia.

I Rush quindi ricominciano a far dischi dal 2002, stravolgendo ancora il proprio stile e puntando più sulla pesantezza quasi heavy metal. La cosa non soddisfa i molti fan dei vecchi tempi ma ne fa guadagnare di nuovi.
Musicalmente Peart è considerato un innovatore e un mostro di tecnica esecutiva.

I suoi assoli dal vivo non sono mai noiosi perché prende esempio dal suo nume Buddy Rich. Quindi non si riducono a mere prove da giocoliere. Soprattutto non trascura di coinvolgere il pubblico grazie a uno stile musicale sempre molto incisivo e presente.

Neil Peart verso il nuovo millennio

Oltre alle sue incredibili abilità fisiche Neil Peart riesce a suonare con naturalezza disarmante parti dove le gambe e le braccia sono slegate nei movimenti. Lui è anche uno in grado di uccidere se stesso pur di rigenerarsi. La vita stessa ha già ucciso e rigenerato molte volte il Peart uomo spingendolo a crescere.

Negli anni 90, per esempio, nonostante le riserve e le perplessità di critica e pubblico sulla musica dei Rush, lui ingaggia il coach drummer be-bop Freddie Gruber, inserendo parecchio jazz nel proprio repertorio e rivoluzionando ancora una volta se stesso come musicista.

Neil Peart è anche il primo a sfruttare il potenziale scenico del kit, coinvolgendo l’attenzione del pubblico sulla propria batteria ricca di elementi, una sezione acustica e una elettronica integrate. La sua bravura nel riuscire a realizzare da solo segmenti ritmici intricati e ricchi di sfumature fa pensare che dietro quelle pelli ci sia più di un esecutore.

Stile di Neil Peart

La cosa si associa bene alla generale capacità dei Rush di realizzare brani così ricchi da spingere l’ascoltatore a domandarsi incredulo come riescano in tre soltanto a suonare come fossero un’orchestra.
Altra singolaritàsul modus di Neil Peart è che dall’inizio degli anni novanta decide di usare le bacchette girandole al contrario, così ha gioco di leva diverso e colpi più potenti.

Il suo stile si può cogliere nella capacità unica di assemblare generi musicali diversi: dall’hard rock dei Led Zeppelin e Who allo Swing e al jazz.
E anche se legatissimo al rock puro, Neil Peart ha influenzato moltissimo il metal. Uno dei suoi allievi più capaci è un certo Mike Portnoy.