Il guaio di Rob Zombie è che molti tendono ancora a prenderlo troppo sul serio e si accaniscono contro di lui fino a odiarlo. Anche a lui capitava, una volta di crederci oltre il ragionevole. Oggi però non più e, guarda caso, i suoi ultimi dischi convincono rispetto a quelli del primo periodo solista; soprattutto rispetto alla fase in cui il front-mind del campion-rock prese la via del cinema-festival. Anche lì c’è chi ha preteso che Rob fosse il nuovo Cronenberg o Tobe Hooper ma non dilunghiamoci oltre. Il nuovo disco ha un titolo più lungo del suo minutaggio complessivo e questo, in tempi così abbondanti di musica gratuita è un fatto positivo, soprattutto per chi alla marea di produzioni discografiche a fondo perduto cerca di prender le misure con valanghe di recensioni spompe. Mezz’ora scarsa e passa la paura. Quasi c’è tempo di risentirlo prima di mollare un articolo.
The Electric Warlock Acid Witch Satanic Orgy Celebration Dispenser non vuole far altro che stimolare ritmicamente il deretano dell’ascoltatore, spingerlo ad assentire con la testa qualsiasi ritornello da villaggio turistico dell’oltremondo Rob abbia concepito sotto la doccia. Scorrono nel cervello le solite immagini d’archivio malato del drive-in personale di Zombie, tra scimmie costumate che si agitano, Dottor Terrori di serie zeta e qualche spogliarellista con un seno solo.
Il resto è un fritto misto di rimandi a Bava e il suo cinema gotico ormai d’essai, Ed Wood Jr. e, se volete, Marilyn Manson. Sì ma quello è per via della manovalanza che Zombie ha reclutato: la stessa che un tempo rendeva grande il Reverendo, e che oggi Mans non può più permettersi. E quindi se la aggiudica Robbo, sempre più Zappiano for dummies, sempre meno pretenzioso ma ahimé così autoreferenziale che ogni suo disco, più lungo, più corto, più grasso, più magro, è sempre lo stesso riflesso di un corpo decomposto che ciondola nella casa degli specchi di Ray Bradbury e di qualsiasi vecchio luna-park dimesso.