Omnium Gatherum – Paradisi decadenti!

Ascoltare un album come questo nel 2017 fa un gran bene a chi ha il cuore affannato dagli anni e le delusioni. Grey Heavens non ha una sola idea originale (il secondo brano Skyline è un imbarazzante ibrido tra un qualsiasi pezzo di Alexi Laiho dopo il 2003 e Only For The Week degli In Flames) ma nell’insieme è un prodotto di romanticismo matematico a tratti diabolico.

Cosa voglio dire? Semplice, è così pieno di trappole emotive accuratamente congeniate che pur non volendo ci si ritrova avvinti, gasati, commossi, coccolati fino alla perdizione autoerotica. C’è l’enfasi pugilistica di Rocky nel bellissimo singolo Frontiers e in diversi brani il death più deprimente si rinfresca di fraseggi e assoli degni dell’AOR di Foreigner o Journey.

A speziare la proposta ci sono le accelerazioni thrash e per chi desidera cose più atmosferiche e progressive c’è Majesty And Silence, con nove minuti di arpeggi rarefatti, fraseggi lunghi, possenti.

Insomma, si scapoccia, si piange, si gusta il bel suonar e si resiste. A che? Alle insidie e le correnti contrarie della vita. Ed è questo che si vuol trovare in ogni album metal che si rispetti. Gli Omnium Gatherum non se lo dimenticano mai di mettere nei propri lavori (recuperatevi almeno Beyond e New World Shadows) il gran cuore che possiedono e soprattutto è come se tutte le volte lasciassero una finestra spalancata sul freddo, infinito spazio là fuori, così da ingrossare la propria creatività e il missaggio di un po’ della brina e del vento nevoso della glaciale terra di Finlandia.

I brani potrebbero essere temporalmente inquadrati tra il 1994 e il 2004 ma gli Omnium Gatherum non pensano a chiudersi a riccio (e di sicuro il loro produttore Dan Swano non glielo permetterebbe) non scivolano mai in un autismo celebrativo fossilizzato sul metal nordico di quindici anni fa, ma usano le idee, le sensazioni, i suoni, per scrivere canzoni personali, in grado di comunicare lo stesso virulento sogno a occhi aperti di quei capolavori lontani e che ahinoi mai più spunteranno.

Questòro conoscono bene la sintassi, la retorica del melodeath e la usano per i propri fini senza affidarsi completamente alle regole che in ogni caso mai infrangeranno. Brani come Rejuvenate!, Foundation o The Great Liberation nutrono la rabbia e la speranza del popolo metallaro, sempre più spesso costretto a sorbirsi compitini aridi di gente che si traveste da heavy metal ma che a dire il vero non ne produce molto oltre una cornice levigata.