Chi è senza peccato avrà il suo rock levigato… No Sinner, che letto al contrario diventa Rennison, ovvero Colleen, cantante e immagine assoluta della band: la nuova Joblin, come ha proclamato qualche penna pigra, impietosa o solo superficiale. Non tanto perché di Janis ce ne sarà sempre e solo una e tutte le altre al più sono discrete cover girl da birreria, ma soprattutto perché per definire la gran voce della Rennison bisognerebbe fare un identikit mostruoso: prendete una Cristina Aguilera che sappia cantare davvero, Bette Midler prima che il cinema la trasformasse in una versione terminator della ex-moglie, Cher pre-plastilizzazione vocale e ancora non ci sarete. C’è chi ha scomodato Suzi Quatro e artiste misconosciute degli anni 60 (come la singer Cherokee Karen Dalton) ma avrete già capito : lei è Colleen Rennison, ha un gusto tutto suo e vale la pena assaggiarlo. Rispetto all’esordio Boo Hoo Hoo (2013), che era un disco blues, soul confezionato sul confetto vocale della frontgirl questo nuovo Old Habits Die Hard rivela prima di tutto i No Sinner come band autentica che ha qualcosa da dire.
Eric Campbell, chitarrista poco più che pischello ma con lo stile di un reduce; Ian Brown, batterista jazz rinnegato ma esperto conoscitore di tutte le fuorvianti illusioni del business; Matt Camirand, bassista psichedelico ex Black Mountain: loro tre formano il cuore energetico di un defibrillatore infallibile mentre la dottoressa Colleen è pronta a gridare: “libera!” dopo aver messo gli elettrodi sui nostri capezzoli rinsecchiti.
Per cominciare nel nuovo album c’è molto più rock e del tipo giusto per la sua interprete: sensuale, malizioso, traspirante, con una robusta componente blues fino ai margini dell’heavy (When The Bell Rings farebbe invidia agli Halestorm) qualche speziata di country e di Motown, specie nella fruttosaminica Tryin’. Canzoni come Saturday Night poi vengono dalla scuola dei Free, Humble Pie, Bad Company, quando il rock si faceva come il sesso. La Rennison è stata un’attrice fin da ragazzina. Il suo sogno nel cinema è finito? Mettiamola così: a volte si deve rinunciare al proprio per diventare quello di qualcun altro.