Rispetto a suo fratello Eddie, Alex è un po’ meno celebre. Si sa che esiste, la sua bravura dietro le pelli è da sempre riconosciuta in modo abbastanza automatico e pacifico ma senza mai grande enfasi da parte dei critici e gli intenditori. Eppure Alex Van Halen svolge da subito un ruolo cruciale per il modo di suonare heavy rock negli anni 80. In pratica lui è l’effettivo anello di congiunzione tra John “Bonzo” Bonham, Ian Paice e tutta la sfilza di batteristi nell’hard glam rock che in quella “decade di decadenza” hanno provato a tenere in piedi il tipo di matrice ritmica alla Van Halen senza mai giungere a ribadirne il tocco poderoso e lo stile schietto di Alex, quadrato ma allo stesso tempo di grande raffinatezza.
Alex Van Halen è indissolubilmente legato alla band che porta il suo cognome. Se vogliamo raccontare la storia di questo grande batterista dobbiamo farlo seguendo passo passo le vicissitudini del magico quartetto, i Van Halen, appunto, i quali trovano forma definita quando i fratelli olandesi accolgono il funambolico singer “Diamond” Dave Lee Roth e il piccolo grande bassista Michael Anthony.
Ma un passo indietro al 1953, nei Paesi bassi. Alex Arthur Van Halen nasce ad Amsterdam. Due anni dopo la famiglia si trasferisce a Nimega e lì viene alla luce Eddie. Da bambini i due seguono subito lezioni di piano ma si stancano presto di solfeggio, postura e passano ad altri approcci più dinamici: Alex prova la chitarra ed Eddie la batteria.
Anche qui però come partenza c’è qualcosa che non torna. Il maggiore dei due fratelli lo intuisce per primo e si impossessa della batteria di Eddie quando inizia a lasciarla incustodita nelle ore in cui è impegnato a tirar su qualche spicciolo con dei lavoretti.
Dopo aver finalmente assunto gli strumenti che li hanno resi famosi, Eddie e Alex si fanno le ossa accompagnando il polistrumentista papà Jan (ricambiato ospitandolo come clarinettista sull’album “Diverdown”) e di seguito dandosi da fare in varie formazioni locali sempre più rock. (Da ricordare soprattutto i Broken Combs, dove Alex suona anche il sax).
Nel 1972 i Van Halen Bros formano i Mammoth assieme a un certo Mark Stone al basso e alla voce. Poco tempo più tardi sostituiscono costui con Michael Antony al basso e inserisco, pur con qualche perplessità, il cantante Dave Lee Roth, che è in fissa con i crooner di Las Vegas e ha una presenza scenica a dir poco “circense”.
Dave non è un granché a cantare, almeno a sentire secondo Alex ed Eddie, ma ha un’ottima amplificazione per concerti, quindi meglio farselo andare per i primi tempi difficili.
Causa un’omonimia con un’altra band, i Mammoth sono costretti ad abbandonare il monicker progster e optano così per il più elegante e un po’ aerodinamico Van Halen.
La metà degli anni 70 sono tempi di entusiasmo, sperimentazione ma molte difficoltà per una band agli inizi. Alex, come tutti gli altri, prima di diventare milionario deve tirarsi su le maniche e rimediare qualche dollaro; consegna pollo fritto a domicilio e più tardi, in un impiego artigianale rischia di finire come Tony Iommi, perdendo una falange… pericolo scampato per il soffio di qualche angelo custode in fissa col rock.
Una sera, nel 1978, in un piccolo locale di Hollywood la band si esibisce davanti a Gene Simmons dei Kiss che magari non può vantarsi di aver portato alla ribalta gente come gli Angel (e di essere stato il producer dei peggiori dischi dei Black N Blue) ma i Van Halen li ha scoperti lui, questo non glielo toglie nessuno.
Nel 1978-79, la band debutta nei negozi di dischi con grande clamore e, oltre a umiliare i Black Sabbath, supportandoli e surclassandoli nel loro ultimo tour con Ozzy, definiscono subito le coordinate del nuovo rock:
-un riff portante
-testi piccanti
-edonismo lustrinico
-virtuosismi di chitarra
-un aplomb di batteria sodo ma completamente asservito alla struttura della canzone.
Il gruppo ottiene presto una grandissima considerazione e nel giro di tre anni sale sulla cima della charts heavy rock. Il botto effettivo però arriva sei anni dopo con 1984, disco che grazie al tormentone Jump, e alle hit Panama e Hot For The Teacher diventa uno dei classici assoluti del rock moderno più taurino.
Le vicissitudini della band, dopo 1984 però sono fatte di alti e bassi. Diver Down del 1985 è un disco transitorio che viene ricordato soprattutto per la cover di Pretty Woman.
La separazione da Roth, rimpiazzato con l’ex Montrose e poi piccolo divo solista AOR Sammy Hagar, trasforma il gruppo più pimpante e trasgressivo del panorama metal americano in una sorta di rassicurante ensamble hard & roll per camperisti.
Dischi come 5110 fino a For Unlawful Carnal Knowledge e Balance sono ottimi album di rock duro ma che risentono molto dello stile placido e impeccabile di Sammy. Roth al confronto è sempre stato più spericolato e sopra le righe dando quel tocco di “wilderness endorfinica” che i nuovi quattro Van Halen non sono in grado di riprodurre nemmeno in laboratorio.
Dopo la separazione litigiosa da Hagar, nel 1997, la band ci riprovaa con il front-man di razza Gary Cherone degli Extreme, ma Van Halen III, pur buono e altisonante nel titolo, se lo ricordano in pochi.
Grazie a una reunion rocambolesca assieme Roth e nuovi litigi che coinvolgono Hagar e Anthony (poi confluiti assieme a Satriani e Chad Smith dei Chili Peppers nel progettone di lusso Chickenfoot) il nome Van Halen riprende quota nel 2012, anche se i fasti di 1984 non sono più raggiungibili.
A proposito del brano Hot For The Teacher Alex guadagna parecchio prestigio tra i batteristi con quell’intro rocambolesco di cassa e rullante. L’uso memorabile che fa in particolare della doppia cassa è avveniristico rispetto agli standard generali di quegli anni. Alex poi è celebre per i suoi mid tempo, sono un marchio a fuoco del suo stile, però è in pezzi in cui corre veloce come Light Up The Sky o Hang em High che da prova di eccellenza, continuando a fornire tanta polpa ai brani senza assottigliarsi mai nel sostegno ritmico.
Sebbene Alex sappia usarla in modo originale e altamente specializzato, nella musica della band l’uso della doppia cassa non è però così evidente. In realtà è integrata alla perfezione con le ritmiche, senza mai diventare un dettaglio isolato o troppo appariscente e soprattutto nei suoi piedi non è mai trasformata in una prova di forza robotica e glaciale dal tipico “effetto elicottero” con cui tanti “batterai” metallici di oggi ci ammorbano.
Del resto ciò che avviene nell’introduzione di Hot For The Teacher rappresenta un’intera stagione scolastica per chiunque ma oltre l’esecuzione c’è il feeling e dei due quello difficilmente si impara.
Di sicuro oggi la considerazione che si ha di Alex è maggiore rispetto ai tempi di Jump. I ragazzi studiano Van Halen e lo imitano sempre con maggiore consapevolezza e intelligenza.
A livello di accessori bisogna far notare che Alex Van Halen è stato un pioniere nell’uso dei rototom (specie di tom innovativi che permettono il cambio di accordatura a mano a mano che vengono girati) ma è riuscito a eseguire lunghi soli di batteria senza mai far assonnare l’audience.
A un pubblico accorso soprattutto per saltare sulle note di Ain’t Talk About Love, strabiliarsi di fronte all’esecuzione inverosimile di Eruption e spellarsi le dita incoraggiata dai calci rotanti e le spaccate di Dave Lee Roth, il ricordo più sorprendente è proprio l’impatto che subiscono con Alex.
Ciò che non tutti considerano è che il “sound Van Halen” non sarebbe lo stesso senza la profondità e la dinamica della batteria di lui. La sua inconfondibile combinazione di charleston e rullante, il sustain della grancassa, che si tratti della gloriosa Ludwig a due o quattro casse, sono elementi inestimabili.
I due fratelli Van Halen poi hanno mantenuto una continuità con l’esperienza iniziale dello studio pianistico. Alcune delle cose più famose della band sono concepite e suonate con le tastiere.
Alex inoltre si diletta con i tasti d’avorio anche al di fuori del gruppo: è arrivato a scriverci un’intera colonna sonora per il film Twister. No, a parte quella non vanta altre esperienze musicali ma di sicuro è tra i pochi a poter affermare di essere morto e poi risorto: gli è successo su internet, grazie a una bufala del 2016.
Ringrazio per la consulenza e gli spunti Manuel Fiorelli, Daniele Michelacci e lo Zio Putre