Robert Johnson – Vien di notte l’uomo negro

Tutto ha inizio una notte senza luna di tanto tempo fa a un vecchio incrocio tra la Highway 61 e la 49. Un perdigiorno con la chitarra, una nullità di nome Robert Johnson stipula un patto con l’oscurità e, nel giro di pochi anni e una manciata di canzoni, delinea le nuove coordinate del blues. Soprattutto, pianta il seme per la rivoluzione sonora che esploderà qualche decennio più tardi: il rock ‘n’ roll.

Risultato di un adulterio, Robert cresce in un ambiente famigliare perennemente minacciato dalla violenza. Si sposa giovane ma la moglie Virginia muore di parto e con lei anche il bambino. Johnson lascia il lavoro nei campi e inizia a bere forte, perdendosi nelle nebbie della depressione.

Tra una rissa e una sbornia va a dire in giro di voler diventare un musicista ma tutti credono stia solo delirando. Un giorno rimedia sul serio una chitarra e si fa dare qualche lezione da Ike Zinneman che, nei dintorni, si crede sia Satana in persona.

Ike si vanta di suonare per i morti e di aver imparato a padroneggiare lo strumento tra le tombe dei cimiteri. Johnson gli ruba tutti i segreti che può e inizia a girovagare per il sud alla ricerca di fortuna… o di una brutta fine.

Negli anni successivi si esibisce nelle più infime bettole disposte a farlo suonare e si infila nei letti delle più truci sgualdrine pronte a dargli qualche momento di piacere. Tutto finisce nelle sue canzoni, tutto è lì dentro, ancora adesso.

Quando torna al suo paese natale, a Robinsonville, gli amici e conoscenti rimangono a bocca aperta per come, in così poco tempo, quel piccoletto buono a niente di Johnson sia diventato un chitarrista incredibile.

Non condivide mai con nessuno i segreti della sua tecnica ed è gelosissimo del proprio stile. Tanti cercano di studiarlo e di scoprirne i trucchi ma nessuno riesce mai a cavarne niente.

In poco tempo Johnson guadagna la fama di musicista prodigioso, originale e rivoluzionario oltre a quella di donnaiolo sempre pronto a rubare le femmine altrui e mandar giù un altro bicchiere alla faccia dei loro mariti cornuti.

Alcuni dicono che sia stato proprio un uomo tradito il responsabile della sua morte, il 16 agosto del 1938. Si varia sull’arma usata dall’assassino: c’è chi parla di coltello, di pistola o di veleno.

La sola cosa certa è che non muore subito. Trascorre due giorni di agonia in una stanzaccia d’albergo dove nessuno bada troppo alle grida di dolore. La sua fine è già scritta e quando Robert la sente arrivare non se ne stupisce più di tanto.

Tutti sono convinti che sia il diavolo il responsabile, proprio come il bluesman canta in una delle sue canzoni più celebri, Hellbound On My Trail.

Devo sbrigarmi, c’è un cane infernale sulle mie tracce

Il cane demoniaco è una figura presente nella mitologia celtica, è come una specie di Cerbero e Johnson ne è ossessionato.
Prima che lo ammazzino qualche discografico riesce a trascinarlo via dall’ennesimo abbraccio sudato per rinchiuderlo in uno studio di registrazione e fargli incidere il suo repertorio carico di ossessioni, lussuria, superstizione e senso di ineluttabilità.

È già famosissimo quando esce il suo primo album intitolato senza falsa modestia King Of Delta Blues Singers, seguito a breve da King Of Delta Blues Volume 2: ventinove canzoni che racchiudono il più straziante pianto umano messo in musica.

In Me And The Devil Blues Robert Johnson dice: Salve Satana, penso sia il momento di andare e c’è chi pensa sia tutto vero.
Si concede tutto il piacere possibile allo scopo di soddisfare la volontà di Lucifero e conciare bene la sua anima in vista delle fiamme, questa è l’opinione più diffusa, ma forse quel povero diavolo tenta solo e invano di soffocare il dolore per la morte della moglie e del figlio tuffandosi nell’inebriante sudiciume del peccato, infischiandosene delle conseguenze come un qualsiasi disperato barbone di questa terra.

Poche foto lo ritraggono, troppe leggende lo accompagnano. Ispira quasi tutti i più grandi chitarristi moderni: da Eric Clapton a Jimi Hendrix, da Chuck Berry a Jimmy Page.

Muore a 27 anni, nel 1938 a Greenwood, Mississipi. C’è chi però giura di averlo visto ancora in giro negli anni quaranta esibirsi sotto falsa identità in fuga perenne dal proprio passato, o dal buon vecchio Satanasso.