Ma i metallari esistono ancora?

L’heavy metal è un western e il metallaro è l’eroe solitario che giunge nella puzzolente, polverosa e pericolosissima città di frontiera e capisce da subito che non sarà amato, compreso e accettato, che prima o poi uno sceriffo proverà a rimetterlo sulla via del deserto.

Lo disse Mustaine e lo ripeté Signorelli, non necessariamente con queste parole. Se la cavarono più che altro così: Il metal è Il cavaliere senza nome, il Texano dagli occhi di ghiaccio o Il buono, il brutto e il cattivo messi insieme. Io aggiungo che tutta questa gente aveva i cavalli.

Gli eroi decantati dei Manowar non sarebbero andati molto lontano senza i cavalli e persino le nuove band doom/stoner necessitano ogni tanto di qualche vecchia carcassa equina da cui sviluppare la propria visione oppiacea di tombe salnitriche e deserti rossi.

I deathsters e i blacksters vanno a piedi e i glamsters e i defenders usano la motocicletta ma in fondo cosa è quell’ammasso di cilindri e ruote se non un surrogato dell’arcaico ronzino da cui cavalieri e fuggitivi, paladini e prigionieri, hanno tentato di varcare i limiti imposti da questo mondo disumano fatto di regole, regole e regole su cosa dobbiamo ascoltare, a quale volume e a che prezzo.

Heavy Horses cantavano i Tull e lo stesso George Romero, nella sua isolata vacanza dall’horror zombesco, ridipinse l’epica di Re Artù usando un gruppo di motociclisti nomadi che sapevano tanto di Judas Priest. Si intitolava The Knightriders quel film e se non l’avete mai visto correte a recuperarlo, è un capolavoro.

E ditemi voi quando il metal muore se non il giorno in cui rinuncia ad avere un’epicità, un dissidio da affrontare o una fuga da consumare? E per far questo ci vuole l’onore di un eroe indomito ma anche la muscolatura di un purosangue che scatti verso l’orizzonte d’acciaio.

Il metal ha tre concetti in tutto, tenetemi dietro e ditemi se non ci prendo:
1 – fanculo tutti
2 – ogni cosa muore
3 – e tanto siamo soli.

Le verità cogenti che il metallaro professa tuttavia non escludono la battaglia. È questo che i cosiddetti normali non riescono a capire. Gli ottimisti, i lottatori siamo noi metallari. Non loro. Loro piangono dietro alle malìe sentimentali di Eros Ramazzotti o commentano le scenografie e gli inediti di X Factor. Noi combattiamo in un mondo che crepa.

Non contempliamo la resa. Anzi, stocazzo we neeeed to fight and fight with the sword of steel of eccetera eccetera. Però è facile da qui partire per una retorica sbrodolona da far guadagnare il vostro primo applauso. Io non sono qui per questo. Io sono metal e vi devo ricordare il male, la sofferenza, la delusione, la scarsità di faika. Sempre. E ribadirvi che, coraggio, il peggio non è morire, ma morire senza un motivo.

Il metallo è un genere profondamente individualista, per questo i discorsi di fratellanza, pur andando un po’ di moda ai tempi di Disco Ring non hanno mai attecchito veramente tra noi uomini con la pelle e le borchie e gli zoccoli.

Ma quale fratellanza? Nell’85 se amavi i Motley Crue non potevi entrare a un concerto degli Slayer. Vero o no? Il primo dogma della chiesa della fiamma nera scandinava fu che il death metal fosse una merda secca da bruciare e quanto a volersi bene all’interno di un sottogenere, Varg ed Euronymous, seppero esemplificarlo meglio di chiunque altro giù per una rampa di scale condominiali, di mattina presto.

Ma di che stavo parlando? Ah sì. Di cavalli. E di metal. E di NON volersi bene. Oggi più che mai andare a un concerto è rischioso quanto passeggiare a Baghdad. E questo a cosa conduce? I kids stanno a casa e da lì combattono come un esercito di indomiti felini digitali che ingurgitano chipsters e guardano i Vagisil Bastards sul tubo e poi pausa ginnica su XNXX.COM.

Infine preda della melanconia post-orgasm si tuffano in una critica al nuovo disco dei Nile su un gruppo facebook dal titolo Metallari fighi: ossimoro inespugnabile.

Il mondo è stato risucchiato nell’imbuto neroschermatico di uno smartphone o di un Ipad. Non è che voglia biasimare la totale mollezza dell’esistere multitasking di oggi. Di sicuro però mi spiace vedere che i metallari in questo tipo di NON vita ci si sono tuffati a pesce.

Erano nati per diventare virtuali. Già negli anni 90 preferivano stare chiusi nella loro cameretta a prendere a pugni il cuscino, inveire sotto il poster di Lars Ulrich e scrivere compulsive romanticherie olocaustiche alla posta del cuore di HM.

Odiavano le feste. Cercavano altri metallari con cui condividere un amore, un’amicizia, un disco, uno spinello, ma andava a finire che non se ne vedeva in giro uno a pagarlo, di metallico, se si escludevano i tipici talli del villaggio.
Quelli c’erano. Ogni paese ne possedeva uno. Dalle mie parti c’era Agonia. La gente lo chiamava così per via dei capelli e la barba alla Charles Manson, la maglietta dei Saxon, i calzoni di pelle e lo sguardo fottuto di chi non caga da 8 giorni filati e le ha provate tutte.

Metallari dove siete? Già agli inizi degli anni 90 non ce n’era uno a pagarlo. Quando mi iscrissi su facebook li trovai tutti lì. E oggi è il solo posto dove esistono. Cliccano Mi piace sotto ogni band storica, meno storica o per niente storica. Gridano di voler comprare il disco di ogni band storica, meno storica o per niente storica e poi non lo fanno perché ce ne fosse una di band storica, meno storica o per nulla storica che abbia un soldo bucato per pagarsi il tour.

Come disse il cantante dei Raven: se il dieci per cento dei tizi che hanno deciso di seguire la pagina della band avesse comprato il nostro ultimo album ora io avrei aperto un negozio di hamburger e patatine e mandato al diavolo tutti voi!

Voi mi direte di andare ai festival estivi e contare le centinaia e centinaia di teste indiavolate che dicono sì e sì e sì con le cornine in alto ai piedi di qualche folk-power-true-death metal band finnica ma quelle sembrano più sagre pittoresche su come dovrebbe essere un evento metal e almeno da noi, non è. Un luogo di comunione, di amicizia, gioia, latrine intasate, amplificazione di merda e tanto tanto tanto caldo da squagliare i cervelli come fossero metalli veri.

C’è chi dice che una volta siano esistiti sul serio i metalhead, gli headbangers, i chop boys con le catene al collo e la toppa degli Accept ma poi si estinsero, come i dinosauri, dopo l’uscita di Rock The Nations dei Saxon.

Estinti o congelati? Fu l’era glacial of steel. E quel ghiaccio ora funge da scatola tipo con il gatto di Schrödinger:  i pochi metallari ancora qui restano oggi cristallizzati in ciò che non erano e non saranno mai, senza far nulla per provocare un disgelo e ritrovare per le strade migliaia di cadaveri borchiati.

C’è un buon numero di utenti che apre gruppi sull’orgoglio metal e li intitola Orgogliosi di essere metallari, Facciamoci valere noi metallari, Dateci il nostro metal quotidiano. Se vai a vedere gli iscritti sono sempre gli stessi. E non sono metallari ma una gran massa di Nerd strafichi e hipster in fissa con la prima serie del Dottor Who!

I fondatori di questi gruppi metal fatti di nerd e hipster che amano dichiararsi metallari sono sempre gli stessi. I commentatori sono gli stessi. Le cose dette sono le stesse. E dopo che li hai chiamati in privato scopri che erano proprio loro che già NON esistevano nel 1990, quando NON compravano le riviste, NON andavano ai concerti e NON ascoltavano i dischi.