Salve bradipi della domenica. Qui è Padrecavallo dal profondo dei suoi più confortevoli e arraposi leggings da corsa. Come vedete, fuori è ancora troppo caldo. Così caldo che la gente sragiona su olivicoltura e altre questioni agrarie di cui non capisce uno zoccolo.
Sono di nuovo senza lavoro. Here I Go Again. L’impiego fisso per me è come l’amore eterno per David Coverdale: intermittente. Potevo rinnovare il contratto ma ho preferito mollare. Le condizioni erano davvero intollerabili. Inoltre l’impiego turnaro è deleterio a prescindere. Se accettate un lavoro che preveda orari notturni o levatacce alle 4, sappiate che la pagherete cara. Ci saranno ripercussioni sulla vostra salute, il sistema nervoso e l’adipe ventrale.
Ho passato mesi terribili. Stavo distruggendo me e chi mi era vicino. Quindi ho dovuto scegliere. O continuavo a trabacare in quella maniera dissociante e logorante, mandando a puttane il matrimonio e la custodia dei miei figli, i sogni, le ambizioni personali, la fedina pulita o tenevo duro fino alla scadenza del contratto di sei mesi, mi buscavo la disoccupazione e tornavo a ciondolare in casa vestito da sacerdote equino, riempiendo il tavolo della cucina di volti da devastare con l’aiuto di Satanasso e piano piano tornare a vivere.
Con mia moglie siamo arrivati vicini a considerare l’idea di lasciarci. Non sto esagerando. Non perché non ci amassimo più, ma per l’enorme difficoltà di comunicare, comprenderci, stare vicini, senza farci male. Ho trattato di merda lei e me stesso, in questi mesi.
Secondo mia madre è tutta colpa di Satana. Lei ha capito che l’abbiamo fatto entrare nella nostra casa ed è sicura che la cosa ci condurrà alla perdizione.
Adoro la perdizione, le ho detto io.
In realtà non ero un bravo cristiano e non sono un granché nemmeno come satanista. C’erano cose molto importanti da fare e io le ho ignorate, le ho messe da parte, stanco per qualsiasi cosa a parte girare con quel maledetto furgone pieno di incognite tecniche bellamente ignorate dai titolari, percorrerci 300 km al giorno scodellando vaschette di ciccia e pere e pistole e lombi così pesi da farmi venire un’ernia del vinile.
Tornavo a casa all’ora di pranzo e potevo solo mettermi a letto fino alle 5 del pomeriggio. Poi mi svegliavo e mi trascinavo fino alla palestra. Prima di cena era sempre troppo piena di gente e a stento facevo i miei esercizi senza scalciar via qualcuno e correre fuori a respirare.
La sera non avevo voglia di scrivere, di leggere, di fare l’amore, di vivere.
Quando anche mia moglie ha iniziato a lavorare, le cose tra noi sono peggiorate. Avevamo un impiego e abbastanza soldi per tirare avanti ma non ci vedevamo quasi più e ogni volta che stavamo insieme, avevo l’impressione che non ci stessimo mai effettivamente.
Avrei dovuto continuare a studiare e prendere appunti nel mio libro delle ombre, fare esercizi, rituali, correre in mezzo alla natura e raccogliere energie e certezze, ma riuscivo solo a starmene in casa interi fine settimana, passare dalla cucina alla camera da letto, dal barattolo di nutella ai cartoni animati su Cartoon Network.
Al lavoro era sempre peggio. Venivo pagato 3 ore ma ne arrivavo a coprire dieci o dodici al giorno. Neanche un grazie, tanto meno gli straordinari. La paga rimaneva quella, in faccia ai contributi, alle ferie, ai rischi che correvo.
E pensare che all’inizio ero anche felice di fare tutto quel sacrificio. Avevo passato così tanto tempo senza lavorare che mi sarei rallegrato persino di trovarne uno come pulitore di cessi negli autogrill della Salerno-Reggio Calabria. Avrei accettato qualsiasi contratto, qualsiasi pretesa. Ero assetato di lavoro. Ne avevo bisogno così tanto…
La situazione oggi è questa. Ti fai una famiglia ma non hai un lavoro per mantenere le spese che comporta. Trovi un lavoro e non hai più energie e nervi e tempo per sopportare la tua famiglia. Quindi se non vuoi divorziare devi mollare il lavoro e tornare senza soldi. E senza soldi non si va molto lontano, con o senza una famiglia.
Ci sono romeni che vivono in Italia, guadagnano abbastanza da spedirne a casa e mantenere la famiglia, solo che poi la vedono due volte all’anno. Dovrei fare questo anche io? Le condizioni di un lavoratore oggi sono tornate a livelli da anno zero. Non ci sono diritti, non c’è rispetto. Sapete che ambiente ho trovato, dove lavoravo tempo fa? Uomini spenti, travolti dal mutuo e convinti di non avere alternative. Paghe ritardate di mesi, compresi gli assegni famigliari, che secondo la legge, quando il datore li trattiene con lo stipendio, sono una vera appropriazione indebita punibile con la galera. La voglia di sacrificarsi e mostrare disponibilità è salutata con l’arroganza, l’indifferenza, lo scherno. Nessuno che parla, nessuno che ha il coraggio di guardare in faccia i padroni e dirgli che non è giusto. Che devono smetterla di marciare sulle necessità di padri e mariti bisognosi. Altrimenti…
Altrimenti, cosa?
Altrimenti nulla.
Esatto.
Invece bisognerebbe andarsene al sindacato. Denunciare. Denunciare. Denunciare. Rifiutare. Rifiutare. Rifiutare. Stare a casa. Stare a casa. Stare a casa.
I nostri figli combatteranno per un futuro che noi non abbiamo le palle di conquistare. Saranno loro a imbracciare codici civili e slogan, le mazze e purtroppo le bombe, lasciar correre la spericolatezza, la rabbia e la smania di combattere. Siamo una generazione di pascolanti. Siamo cavalli da tiro. Cavalli da corsa. Cavalli da soma. Cavalli conquistati e domati senza troppa fatica, con le orecchie piene di sussurri minacciosi e la schiena piegata dalle risa, la pancia riempita di promesse e acqua sporca.
Quando si sentirà la valanga di zoccoli avvicinarsi, vorrei essere anche io parte di quel mucchio selvaggio stanco di infilare il muso nella stessa mangiatoia vecchia e piena di ragnatele in cui ora trovo mangime a sufficienza per restare in piedi e sgobbare un altro giorno.