Più che a progredire, e vi chiedo di perdonare questa pessima battuta, gli Amorphis continuano a proggettare (nel senso di prog rock, quindi la parola va letta come se ci fosse il gh). Il nuovo album è più leggero rispetto a Circle, meno intenso di Skyforger e non rivela grandi sorprese. Possiamo definirlo un lavoro più rock che metal, nonostante gli sporadici inserimenti growl del mai troppo stimato singer Pasi Koskinen. L’impressione è che il gruppo riallacci il nuovo discorso avviato con Eclipse al periodo forse un po’ troppo bistrattato di Am Universam e Fall From The Sun. Gli Amorphis hanno il pregio (uno dei molti) di non essersi riciclati mai in questa ultima decade, come invece è capitato alla maggioranza dei grossi nomi degli anni 90 che sono ancora in giro (praticamente tutti).
Dal cambio di cantante, gli Amorphis hanno temporaneamente chiuso la parentesi rock alternativa e si sono inventati questo folk prog metal roccioso e liricheggiante che gli ha permesso di produrre alcuni dei più bei lavori della loro intera discografia. Under The Red Cloud non sarà ricordato come uno di questi picchi. Sebbene mantenga un livello qualitativo notevole mostra un calo della lucidità e una certa stanchezza. Magari è solo una mia sensazione ma sospetto che questo album dovesse lievitare un altro po’ prima di uscire. La tirannide delle scadenze contrattuali impedisce alle grandi band di sedimentare a dovere la propria ispirazione. Belle sia il singolo arabesco Death Of A King che White Night, dall’approccio molto vicino alle cose dei Fates Warning di Parallels.