Se al Ruggiero di sette anni fa, quello che leggeva le prime recensioni di Into Gay Pride Ride, (e se lo sparava a palla con gli amici diffondendo il verbo nelle strade impestate dai truzzi) avessero detto che in futuro non solo avrebbe visto più volte gli stessi Nanowar, ma avrebbe anche bivaccato con loro a un tavolino… si sarebbe messo a ridere come un dromedario, con tanto di sputazza infetta di sifilide. Me la sarei procurata solo per l’occasione.
E invece eccomi al quarto capitolo di questa storia, in una nuova stalla, perché se il primo palco era più un ippodromo, quella di oggi è la stalla del mio ritiro. Attenzione, non voglio offendere il locale, l’Indian Bikers di Foggia, che conquista il cuore di questo puledrino da monta, però è ironico altresì per me constatare dall’Agglutination 2016 il ‘restringimento’ dei palchi a cui ho assisto esibirsi questi circensi della musica, perché questi sono come maestri d’un circo, e pertanto meritano uno spazio dei più ampi. Ma andiamo con ordine, che devo seguire una scaletta e ho paura delle altezze.
Davvero, non so neanche salire un tre piedi.
Ho bevuto? Il giusto dai. Un litro e mezzo di una rossa da 8.3 e mezzo litro d’una nera da 5. Un totale di due litri. Mi vergogno d’aver bevuto così poco. A fine articolo eseguirò seppuku.
Arrivati con un margine d’anticipo ci sbivacchiamo un po’ nella macchina prima d’uscire e trovarci un Potowotominimak errante ai cancelli del parcheggio. Già lo so che mi odierà se forse leggerà (non credo dai) queste righe, però sì è ingrassato parecchio. È l’effetto Kerry King come si suol dire; ciò che cade dalla testa s’accumula nel ventre e per ogni capello caduto un chilo assale le maniglie dell’amore. E in attesa del parto prossimo venturo lo lasciamo girovagare per le campagne, sperando non si perda.
All’interno del locale riesco solo a salutare Christian Ice con signora Ice al banchetto, mentre uno stuolo di fan ricorda i bei tempi di youtube, quando era ancora un albergo con le stelle e non sta parodia di facebook con i pollicioni e i commenti che… no quelli fanno schifo sempre. Sono solo i video che peggiorano di generazione in generazione.
L’apertura viene lasciata a un gruppo locale anch’esso demenziale, più che un nome una leggenda metropolitana della Puglia le cui gesta sono narrate in gag degne dell’acido muriatico sulle gengive. Quando uscivo in comitiva e si discuteva di black metal, ogni tanto appariva il comico di turno e per pigliarti per il culo ti diceva ‘ma te gli Immortadell li hai mai sentiti?’, e pensi sia solo una gag di pessimo gusto. Grasse risate, un calcio nella gengiva e si torna a bere una birra come il perfetto greco quale io sono, col sangue caldo ma la birra fredda. Poi un giorno apri internet e scopri che gli Immortadell esistono veramente, e non sono neanche degni di encyclopaedia metallum. La vita perde d’un senso, e dargli un significato cosa serve, capisci che la droga del futuro è l’oki, e te lo stendi sul cd dei Profanatica, te lo tiri fino a far scoppiare la vena della narice e aspetti ti salga la bamba, l’overdose del dopo giorno dopo, poi finire sui giornali come un drogato quale non sei mai stato e scrivere sulla lapide le tue ultime parole: ‘solo un altra dose, che io col cazzo voglio vivere in un mondo dove esistono gli Immortadell’.
E invece sotto al palco mi ritrovo a urlare assieme al gruppo frasi in foggiano, lingua a me sconosciuta. Il cavallo è apprezzato dalla fauna locale che applaude, mentre egli recupera un paio di mutande trovate per terra per lanciare la nuova moda della mutanda sul muso, mutanda sui pantaloni, mutanda ovunque. Mi vanno un po’ larghe, leggermente sporche di merda, ma ci si accontenta in questi tempi di magra.
Altra uscita, altra birra, foto equine sempre con Potowotominimak, altro gruppo. I Black Ciabbath (un altro riferimento involontario al black per caso?) me li godo dall’esterno, con una birra tra le mani e trovandomi a parlare di nuovo con lui. Di che stavamo parlando poi? Non rimembro, credo figa. Il monologo più breve della storia.
I Napoletani suonano per lo più cover, creandomi un senso di stupore, perché che dir si voglia io mi aspettavo una serie di pezzi originali, ma scopro il loro repertorio consistere nella reinterpretazione di grandi classici del metal & rock. Però no, niente cover di You Suffer in napoletano. Dovrei bocciarli per ciò, ma come dico sempre questo è un mercato libero, e per ogni culo c’è un cavallo da monta. Io sono uno di questi? Ni. Io sono contro le cover band di base, perché penso queste latitino di personalità, ma se però v’inserisci una tua interpretazione perché bocciarti? Il pubblico applaude e io dall’esterno bevo. Chi brinda con me?
Non voglio mentirvi, in realtà non sono un cavallo, ma un cavallo chiamato uomo. Era una confessione che mi pesava nel cuore come i ferri fissi ai miei zoccoli. Un’altra confessione e che io, noi, il gruppo, i membri della crongrega nsomma siamo venuti solo per i Nanowar, per esplodere come un bukkake sotto al palco, e rompergli un po’ i coglioni come l’ultimo schizzo nella palpebra destra. In una delle due cose penso d’esserci riuscito perfettamente, però devo migliorare la mira.
Spulcio la set list e vedo finalmente Fight The Dragon For The Village. Ma porc… finalmente. Qualcuno mi dirà che sono un coglione che non capisce niente, perché sto pezzo l’hanno sentito nel 2009 quando aprirono il concerto degli Airon Meiden, ma fotte sega io sono pischello e m’arrapo per poco.
La performance non merita d’essere commentata, perché commentare qualcosa che già conosco? Chi conosce i Nanowar già sa cosa aspettarsi da questi tipi sopra il palco; e parlo di grasse risate, professionalità con una comicità ‘aggressiva’ ma non volgare, che seppur possono anche indicarti come ‘il coglione’ non è certo per insulto, se no non capisco un cazzo d’ironia e siamo tutti maestri della scuola della risata. Infatti di questo ho parlato col cantante, il quale fu criticato proprio per questa sua marcata ironia bastarda durante l’evento di Bari a cui partecipai. Io credo ogni palco abbia il suo pubblico, ma è anche vero che un pubblico deve conoscere ogni suo palco, quindi se tu vai a vedere i Nanowar, non puoi mica aspettarti My Little Pony, altrimenti i testi hai solo fatto finta di leggerli, sopratutto quelli dei primi album.
Nota dolente, ma più che altro a livello emotivo, è l’assenza di Gatto Panceri 666 al basso, sostituito per l’occasione dall’ottimo Simone non vi dico anche il cognome, il cui nome d’arte è… non me lo ricordo. È un pirata, questo posso confermarlo e sono felice d’aver superato per l’occasione la mia fobia per i pirati.
Avevo detto che il palco è ‘piccolo’, ma non per dimensione, è nella media di qualsiasi locale abbia frequentato (e ne ho frequentati di veramente piccoli), ma per contenere quello che è lo spettacolo dei Nanowar, un gruppo ‘fisico’ a cui piace esportare una mimica dei corpi, non solo musicale (perché un live non sono solo strumenti suonati, ma interazioni con il pubblico, gag, discorsi, balletti, battute e anche barbagianni).
Pubblico… bocciato. Noto attività, c’è una buona presenza, il locale è pieno, la pecca è la solita: il pogo. Il sisma siamo riusciti a crearlo, ma ai bordi noto (più che altro sento, sono mascherato e mi si creda quando dico che non vedo un cazzo) astio di gente un po’ buzzurra e irritata. Forse non tutti apprezzano un folle mascherato da cavallo che picchia chiunque gli capiti a tiro.
La serata si conclude con i soliti convenevoli, perché che dir si voglia lanciare bacini sul pubblico, il solito ‘questo è il miglior posto dove abbiamo suonato’ riesce ancora a sciogliere qualche cuore. Qualcuno mi ferma per ringraziare la mia equina presenza. Guys, sono una star. Saranno stalloni.
Ci si ferma a fare le ore piccole, e senza accorgersene una birra tira l’altra e l’orologio segna le cinque del mattino. I piccini corrono a letto mentre i grandi fanno tavolino con la crew al completo dei Nanowar riguardo argomenti di grande spessore, tipo se è vero che un mio amico una volta s’è masturbo ventitré volte di fila in un dì. Secondo la matematica no, ma i fattori in gioco sono molteplici e se l’accaduto avvenne in un giorno festivo e moltiplichiamo al fatto che era under venti, le possibilità diventano certezza.
Ricordo che ho fatto quasi salire un conato di vomito a qualcuno di loro, ma non rimembro cosa citai. E non ho neanche acceso il cellulare vorrei dire.
Ci si saluta poi infine dandosi appuntamento a un prossimo concerto, ma chi non è capace d’attendere, come me del resto, può sfogare l’erezione da viagra il trentuno Ottobre a Bologna o i giorni seguenti a Lucca Comics ove Potowotominimak parteciperà presso lo stand Magic Press. E per gli straccioni che non possono permettersi il biglietto per i padiglioni, allo stand di Feudalesimo e Libertà avranno l’onore di trovare membri random del gruppo (confermato Abdul il fine settimana) girovagare alla ricerca di Kebab vari in questi tempi bui di crisi.
Ci si rivede a un prossimo concerto.