La vita a volte è come una colonscopia senza rito preparatorio, credo che voi viventi lo sappiate.
Nessun preavviso, troverai una fotocamera serpentina nel culo senza prescrizione alcuna del Citrafleet, dritta dritta nel tuo ano, perché il destino vuole scrutare dentro di te allo scopo di capire come può rovinare la tua vita. Succede sempre così, è inevitabile. Di regola, dovresti rialzarti, ma non è sempre possibile. Anzi.
Dipende da quanto quel serpente telecamericizzato è andato nel profondo del tuo tratto intestinale e, se questo ha colpito veramente a fondo arrivando quasi a fine corsa, di sicuro sarà dura rialzarsi quando l’hai presa in modalità simili a quella dello stupro.
Che poi, io per precisione fui anche stuprato, ma un ragazzino stuprato non fa notizia, le donne di qualunque età sì anche se era vero che erano altri tempi. Ma la misoginia da indignati non mi interessa, qui si tratta di parità di diritti realmente eguali ambosessi, in ogni caso non siamo qui per parlare di ciò.
In questi ultimi due mesi sono continuamente alla ricerca di una risposta a una domanda che rivolgo sia a me stesso che al mio prossimo: vivente, per cosa vivi? Io, zombie che scrive per una webzine gestita da cavalli, per cosa vivo? Un tempo vivevo per la musica, ora che mi son reso conto quanto sia inutile farlo causa label poco serie e “messe in scena” al posto della scena, al massimo lo faccio per me stesso ma la voglia è poca. Più che altro ora mi interessa tornare a disegnare come facevo un tempo, ma di certo non vivrei per il disegno. Non vivo più per me stesso in pratica, voglio vivere per qualcun altro, rischiare e mettermi in gioco. Vivo solo per qualcuno a cui sento di poter porre tutta la mia fiducia.
Ormai ho deciso. Vado contro tutto e tutti, persino me stesso: ero addirittura convinto che vivere per qualcun altro fosse una cosa stupida, dopo 11 anni di una precedente relazione assolutamente buttati nel cesso. Perché a volte è bello persino sorprendere se stessi. Stop.
Ma se le sorprese son sempre cose gradite, ci sono parti di noi che ci porteremo, volenti o nolenti, sempre dietro: una cosa fondamentale della mia vita è stata sempre quell’incessante sensazione di angosciante solitudine che ammorba il mio animo. Nel senso che potrei avere tanti amici, ma se questi per una ragione o per l’altra sono tutti dall’altra parte di uno schermo allora sì che, porca la puttana, la solitudine torna a farsi sentire, perché io sono per le cose concrete e il digitale umanizzato al 100%, anche se spesso è l’unica cura contro un paesino di merda che più merda non si può, alla lunga mi sta stretto.
Sono uno zombie, un tipo analogico. E per questo soffro, spesso apparentemente senza motivo. Ma la cosa ancora peggiore è ho perso un amico, uno degli ultimi simboli della mia spensieratezza giovanile (l’ultimo, perché tutti i miei punti di riferimenti della gioventù sono tutti morti e non è un modo di dire per tirarmela come i Murderdolls).
Ma ehi, anch’io sono un mezzo morto, sono uno zombie… e che si sappia, il motivo per cui su Sdangher ho deciso di tirarmela da zombie non è tanto per via una maschera che trovai ad un ipermercato durante un Halloween di ormai due ere geologiche fa, quanto per ironizzare sulla mia insistente sensazione di alienazione, solitudine, un mezzo morto in pratica! E poi a me è sempre piaciuto ironizzare su tutto, anche su me stesso e nelle situazioni meno adatte a una svolta ironica.
Ma ultimamente, dati i recenti sviluppi personali (per scoprirli basta cliccare sul mio profilo lì in alto…), mi sono schierato più dalla parte della vita che della morte e, credetemi, sto ancora più male. Che non venisse al prossimo di credere che il sottoscritto sia una specie di psicotico maniaco depressivo o peggio ancora una sorta di fighetta frignona. Ho vissuto una vita dedicata al prossimo, dove però il prossimo non ha fatto altro che prendermi per il culo, illudermi e devastarmi.
Solo alcune persone, pochissime e che potrei contare sulle dita di due mani, si sono rivelate essere degne della mia fiducia: l’amico è colui su cui sai di poter sempre contare in qualsiasi momento e che, appena può ti da sempre una mano e non ti fa mai pesare nulla. Bene, di queste persone ne ho incontrate veramente poche e quando vengono a mancare dalla prima all’ultima la cosa mi segna… non tanto perché non ne incontrerò altre nella vita, quanto perché scopro che ora sono vivo e un momento dopo potrei essere passato all’altro mondo. Ok, son paranoie, ma è forse l’unica paranoia sensata di questa giostra delle casualità chiamata vita.
Cioè spieghiamoci su cose ovvie cazzo, che per una volta tanto mi va. ….eh sì porco quel nemico del mio amico equino (il Cavallo Goloso), ogni cosa può portare alla morte: ora sei vivo, magari dopo potrai essere investito mentre attraversi l’incrocio perché, come un indegno cavallo coglione, fissi le notifiche del Fecciabucodelculoblu esattamente mentre, appunto, attraversi l’incrocio non rendendoti così conto che il semaforo per cavalli passanti è rosso, finendo così sotto il paraurti di una Seicento di merda guidata da un altro indegno cavallo coglione a sua volta preso dalle notifiche del Fecciabucodelculoblu.
Banale la vita a volte vero? Banale nel senso di come si possa morire per un cazzo.
Per un cazzo sono morti tutti, anche l’ultimo di quelli che un tempo furono i miei più grandi amici, coloro che mi diedero dignità in un paese dove la nomina di vittima di bullismo accresceva la mia voglia di farla finita. Ora sono vivo anche grazie a loro ma loro no, sono morti. E non potrò mai dir loro: “Grazie per tutto quello che avete fatto per me in un periodo in cui persino il vento mi sussurrava nelle orecchie che sono un perdente per ragioni ignote a chiunque, siete stati i miei pilastri.”.
Vi porterò sempre dentro, vi vorrò sempre bene. Sarò anche un mezzo morto ma appunto, sono anche mezzo vivo e per di più con una ragione adesso. E lo devo a voi, nessuno escluso.