Se siete in fissa con i serial killer, quelli veri e non i geni del crimine di Seven o Following, Manhunter e Hannibal allora sparatevi questa serie reperibile su Netflix: Mindhunter.
Non vi aspettate granché a livello di intreccio. Non ci sono dei criminali super-imprendibili o di quelli che non muoiono mai. Non ci sono storie d’amore struggenti, se escludiamo quella tra un agente FBI e un serial killer alto più di due metri. La storia è tutta vera, tolta qualche licenza creativa qui e là. Sono sempre americani, no?
Io me lo ricordo bene il libro dal titolo omonimo, Mind Hunter – La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano di John Douglas, uscito a metà anni 90. Me lo rigirai tra le mani pensieroso almeno quattro volte ma non lo non comprai per tre motivi: uno, era troppo costoso, due, aveva una copertina orribile, tre: a me interessavano i serial killer e non qualche barboso cervellone mangiascartoffie che gestisce le eventuali indagini e ne spiega la psicologia. Ero in fissa con le nefandezze, a quattordici anni, niente accademia. Sbagliavo. Avrei trovato del materiale appassionante.
Non è nulla di speciale a dire il vero, la storia di Mindhunter. Il solito copione che fa impazzire gli americani: due uomini soli sfidano il sistema per un’idea in cui credono. Si battono fino ad alienarsi la famiglia e tra di loro ma hanno quella tenacia che sa di fede e poi ossessione. E alla fine la spuntano e cambiano il mondo.
Quello che rende Mindhunter qualcosa di speciale è: la resa impressionante dei serial killer rappresentati, realistici e inquietanti; i dialoghi senza sbavature e degni del primo True Detective; il lavoro sulla psicologia dei protagonisti, inesorabile e spietato; i buoni non sono meno incasinati dei mostri che intervistano; l’algida bomba lesbo-sexy Anna Torv, interprete della dottoressa Wendy Carr (nella realtà Ann Wolbert Burgess).
A parte tutto questo c’è una ricostruzione storica impeccabile e mai fatta pesare sul povero spettatore come avviene in Aquarius e The Nick.
Ora è scontato quello che sappiamo in materia di Serial Killer, ma negli anni 70 nessuno si sarebbe mai avvicinato a Charles Manson per sapere cosa l’avesse reso ciò che era. Chi non veniva giustiziato era dimenticato il più in fretta possibile in qualche galera di massima sicurezza. Punto.
Intanto però gli assassini seriali continuavano ad agire e le forze dell’ordine non avevano idea di come prenderli. Di solito infatti, i mostri si consegnavano per bisogno narcisistico di vedere riconosciti i propri “meriti” o magari erano catturati per cause fortuite. Ce ne erano molti che non volevano essere scoperti di quei mostri, cacciatori di uomini che agivano per il gusto di sentirsi potenti, dominatori, appagati sessualmente. Mimetizzati in quadretti provinciali inoffensivi che celavano una doppia vita infernale e pur di appagare le proprie pulsioni particolareggiate erano pronti a tutto: magari anche staccare la testa a una bimba di dodici anni e farcisi una sega.
Nessuno all’FBI e tanto meno in polizia sapeva come individuarli, cosa cercare, dove, come. Nnon c’era neanche l’idea che questo nuovo tipo di criminale dovesse in qualche modo essere intrappolato idealmente in uno studio diverso, frutto di una ricerca approfondita, con una nuova tassonomia precisa.
Chi ha avuto la pensata di studiarli, chi ha trasformato un tabù in un’autentica miniera di soldi per avvocati e produttori cinematografici? I due tizi di Mindhunter, of course.
In un certo senso è come Vinyl ma non ci sono le rockstar. Qui i maniaci sono gli artisti. E che ci crediate o no, è quello che si reputano, il più delle volte, quando finalmente qualcuno li lascia parlare, gli chiede spiegazioni, illuminazioni, spunti e teorie su cosa li abbia resi brutali e disumani.
Ho passato l’adolescenza a leggere testi su Gacy o Bundy. Ho sempre considerato Il silenzio degli innocenti inverosimile e anche Dexter è una barzelletta, un’occasione mancata. Finalmente qualcuno mette in scena il più sanguinoso romanzo americano di sempre, senza cazzate, senza intrecci romanzeschi.
Pregusto cosa la serie affronterà nelle prossime stagioni. La seconda è in cantiere. Ne vedremo di cose interessanti quando entrerà in scena Ted Bundy, per dire, o il Green River Killer o Jeffrey Dahmer. Intanto a far da sfondo alla prima stagione ci sono i primi passi di Dannis Rader (BTK Killer).
Persino i casi isolati di cronaca nera risolti dai due agenti, durante il loro cammino di crescita professionale nella ricerca sono autentici. Non potete tirare mai un sospiro di sollievo ripetendovi: è solo un telefilm, è solo un telefilm…