Capitolo 1 – Dalla politica alla fuga nello spazio profondo
Una mia amica americana (un gran pezzo di figliola), che è stata per un annetto la ragazza di Kory Clarke mi diceva che è una delle persone più insicure e instabili sulla faccia della terra. Una specie di Dave Mustaine senza però le passioni tossiche. (Luca Signorelli – Metal Hammer, 1992)
Il pubblico rock, quanto meno nel mio paese, se ne frega di quanto succede intorno, o di quanto succede loro o nemmeno capisce quello che succede. Meglio che si sveglino e prendano coscienza che da qui a dieci anni, in America non esisterà più una classe media. Saremo come l’Inghilterra dove già esistono solo le classi abbienti e i poveri. (Kory Clarke – Metal Hammer 1992).
La prima volta che mi imbattei nei Warrior Soul fu in TV, su Videomusic. Passavano il clip di Love Destruction. Oltre a essere uno dei dieci pezzi preferiti della mia antologia esistenziale, ammetto ancora oggi che provai una vera folgorazione per Kory: questo hippie post-apocalittico dai capelli di un biondo abbagliante che “gutturava” di amore e distruzione su una base ritmica ipnotica, trascinante. Lo trovai bellissimo e me ne innamorai. Dico lui, a parte il pezzo. Non pensate che io sia gay nella vita di tutti i giorni ma come ascoltatore e appassionato di musica metal confesso di aver avuto qualche difficoltà a mantenermi idealmente etero, negli anni.
E i tipi come Kory erano l’apice adamitico del metal, per me. Una via di mezzo tra Charles Manson e Jim Morrison, con una piccola combustione fondente alla Hitler. I Warrior Soul non potevano sentirsi ben rappresentati da Love Destruction e nemmeno da Punk And Belligerent, altro inno nichilista imprescindibile del capolavoro Salutations From The Ghetto Nation. In generale il loro stile era un crossover di psichedelia nucleare e punk acido idrofobico.
A dirla tutta non potevano neanche definirsi metal, ma nei primi anni 90, buona parte delle belle novità venute fuori nel rock furono infilate senza tante discussioni nel calderone della heavy music. Roba tipo Blind Melon, Terrorvision, Ugly Kid Joe, Saigon Kick o Black Crowes rappresentano esempi di straordinaria mistura, capaci di mantecare assieme praticamente tutto il meglio dei trent’anni di musica ribelle uscita dalle sale d’incisione. Purtroppo per certe contingenze commerciali, queste band raccolsero meno di quanto avrebbero meritato, perché in larga parte si ritrovarono a dover soddisfare un pubblico generalmente chiuso e sospettoso come quello dei metallari.
I Warrior Soul erano, almeno fino a Chill Pill, una sorta di versione olocaustica dei Monster Magnet. Avevano un’attitudine musicale piuttosto ricca ma che la presenza e la testa “pesa” di Kory riunirono in una mina vagante di protesta e sensibilizzazione politica che mal si trovava con un’odience figlia dei figli dei figli dei fiori. Costoro, dopo aver nicchiato sul divismo impegnato di Clarke, finirono per sfancularlo e adagiarsi nella poetica del dolce star male dei Pearl Jam e tutto il post grunge.
E con loro la Geffen che sin dal primo disco provò a gestire una band impossibile, talmente determinata a fare di testa propria da prendersi il rischio di realizzare il secondo e il terzo album (passaggi vitali di carriera) senza l’aiuto di un produttore esterno. Quindi se Last Decade Dead Century (1990) racchiude già la poetic justice dei Warrior Soul con classici punk-blues come I See The Ruins e la metallica esistenzialistica di The Losers (ma con un plasma censorio da classifica ragionato dalla Geffen), Drugs, God And The New Republic sbatte tutto e tutti fuori dalla porta, ci mostra i Warrior Soul in una veste più diretta e coinvolgente ma con un pacchetto sonoro abbastanza mediocre e penalizzante per i contenuti.
Il disco definitivo è stato senza dubbio Salutations… Ci sono grandi pezzi e momenti di lirismo così intenso da spingere l’ascoltatore al sorvolo su tutta la retorica dietrologica di Kory, i cui atteggiamenti finirono per irritare i giornalisti e i fans, fino a condurre egli stesso in un vicolo cieco (Chill Pill) e una momentanea sconfessione volta al disimpegno sospetto di Space Age Playboys.
A vederlo con i capelli alla David Bowie del periodo Ziggy e una pistola in stile Flash Gordon si faticava a riconoscerlo e accettarlo, diciamo la verdà.
Capitolo 2 – Il ragazzo spaziale torna a casa ma ci trova il Quarto Reich
Che succede Kory, dove è finito il profeta della desolazione etico-politica di The Golden Shore? È momentaneamente messo nel surgelatore. Tutto quello che ora i Warrior Soul vogliono è che vi divertiate. (Sunto ideale di tutte le interviste rilasciate da Clarke nel 1995).
Al di là dell’incoerenza e il tempismo poco furbo, un cambio di prospettiva, di traiettoria, di direzione fece bene alla band che ne usciva rigenerata e ispirata (The Drug e The Wasteland sono picchi compositivi che su Chill Pill si potevano solo sognare). Evidentemente la mossa avrebbe dovuto portare qualcosa di significativo, magari solo in termini economici e così non fu. Di fatto appena un anno dopo la svolta spaziale i Warrior Soul si sciolsero e a parte la carriera solista, frammentaria, caotica, ignorata di Kory, del gruppo non si seppe più nulla fino al 2009, quando uscì Destroy The War Machine (che avrebbe dovuto intitolarsi Chinise Democracy!).
Il disco vedeva solo Kory e una serie di gregari, non la formazione dei primi album. Inutile lagnarsi: alla fine i Warrior Soul sono sempre stati roba sua. E infatti il ritorno è buono, rispettabile e coraggioso. Non c’è un ristabilimento ai topoi di Ghetto o Decade, ma una prosecuzione musicale decisa nella direzione punk-glamour di Space Age Playboys conciliata però con la passione primigenia di Kory per la politica. Clarke è di nuovo battagliero e ispiratore di inni salaci contro l’establishment (Pigs, The Fourth Reich) ma anche proiettato su un biografismo disimpegnato e talvolta malizioso (Motor City, She’s Glaswegian).
Tecnicamente la voce di Kory sembra aver subito una lemmyzzazione (nel senso di Lemmy dei Motorhead, esatto). Scordiamoci l’ugola pulita delle planate psichedeliche da arena rock in The Fallen o la nervosa poesia predicatoria di Children Of The Winter, il nuovo Clarke è un singer rock and roll sporco, truce e provato da anni di pratica viziosa. I suoi Warrior Soul 2.0 sembrano più una band street-glam svedese di fine anni 90 ma il dono di indovinare ritornelli non è affatto inferiore a quello di gente come Backyard Babies e Hardcore Superstar e il piglio generale è degno del passato, sprintoso e fiero.
Nel 2012 esce Stiff Middle Finger, lavoraccio che rispetto a quello del 2009 è più vicino alla psichedelia delle origini ma con una produzione scadente e qualche scivolone nell’ovvio. L’andazzo è ancora più hard rock e pestone, con momenti di lascivia in quattro quarti (Junky Stripper) e altri più claudicanti e sopravvissuti come Drink To All My Friends (che mi ha fatto pensare agli AC/DC di The Razor’s Edge). Il picco è la bellissima traversata acustica di 7 minuti e rotti di Light Your Bonfires in cui balugina la vecchia smania biblica per la distruzione.
E oggi, che cosa dovremmo aspettarci dai Warrior Soul? Niente, temo. Kory ha pubblicato a tiratura limitata un disco di ballad che raccoglie anche la roba della sua band storica ma al di là del modesto interesse suscitato dall’operazione, quello che viene in mente soprattutto è un senso di decadenza molto più sincera di quanto a Clarke sarebbe piaciuto mettere alla ricetta Warrior Soul. Dalle interviste recenti viene fuori senza dubbio un uomo nuovo, più tranquillo, non più il giovane paranoico dal gran senso civile e scarsa autoironia, è ancora critico verso la società ma molto meno credulone verso le sue possibilità di diventare il re della rivoluzione rock. È un musicista rock, punto, in quanto tale lo vive a testa alta (o bassa, che dir si voglia). La sua vita è fatta di concerti e dischi. Fino a quando potrà essere così lui non la smetterà. Ci si chiede appunto, quanto potrà durare..