Salve Puledrini miei! E quindi tocca proprio a me, questa domenica… Beh, non è mai facile… ma sapete, è la prima volta che affronto la rubrica più autobiografica che ci sia da quando mi sono lasciato con mia moglie. Dura parlarne, capirete. Vorrei avere altro da raccontarvi. Ma cosa? Odio le persone che evitano il solo argomento di cui avrebbero bisogno di parlare. Non parlarne sarebbe esso stesso parlarne, non so se mi spiego.Mi sono lasciato. Dopo dieci anni, due figlie, tre impieghi di mesi e due mesi. Come mi sento? Strano. Perché è successo? Bella domanda. Quando muore qualcuno ci si domanda la causa. Che aveva? Stava male da tempo? Ha avuto un infarto? Si è sparato? Un incidente in macchina? Quando finisce un matrimonio o comunque una relazione lunga che pareva in ottima salute, destinata a perpetrarsi nei secoli, c’è una schiera simile di domande: c’era di mezzo qualcuno? Da quanto non vi sopportavate più? Chi ha smesso di amare chi?
Rispondo per noi, almeno dal mio punto di vista: no, niente tradimenti. Io e mia moglie ci sopportavamo da un anno circa. Non ve ne siete accorti? Eppure vi assicuro che c’è gente per cui la cosa era evidente. Per altra invece era evidente che fossimo una coppia perfetta…
Ci sono persone che vedevano nel nostro idillio la prova tangibile che ogni tanto a qualche stronzo, la vita di coppia va bene sul serio. Come siete belli! scrivevano sotto le foto che postavamo in coppia su facebook. Ed era vero. Eravamo belli. Però magari, qualcuno attento avrebbe potuto notarlo che di foto insieme da un anno, sulle nostre bacheche non ce ne sono più state. E pure gli album fotografici di mia moglie, non è che avessero il qui presente come oggetto desiderato.
Col senno di poi tutto diventa chiaro. Ci sono persone convinte di aver visto chiari segni di tradimento e di crisi solo perché mia moglie postava foto in cui beveva fino a tardi birra nei locali con le amiche. C’è chi l’ha avvistata su Tinder. C’è chi l’ha vista uscire da casa nostra e salire in macchina di un tipo sospetto.
Mi viene da ridere. O forse da piangere. In queste cose non sai mai dove sia il confine tra pianto e riso. Il confine forse è la rabbia ma in fondo io ne provo poca.
Dei due, ho smesso io di amare lei. O forse no. Non ho smesso ma sapete cosa, se pensate che basti l’amore a giustificare una vita che ormai sembra destinata a una china verso la fogna insieme allora non avete vissuto dieci anni accanto a qualcuno che ritenevate prezioso, irrinunciabile e vivete di stereotipi e cazzate. Mi spiace ma la vita è più complessa di così.
Credevo anche io che fosse l’unico motivo valido, l’amore. Pensavo che l’amore sarebbe bastato a tenere insieme tutto, nonostante qualsiasi scossa. Ero sicuro che grazie all’amore non ci sarebbero stati dolore e solitudine, non più lunghi di qualche ora, un giorno magari. E che pur di non lasciare la propria metà, due persone potessero distruggersi, morire, suicidarsi. Romantico, già. Ma il giorno che mi sono fatto del male per esprimere il mio dolore, di romantico c’era più poco.
Eccomi qui. Provo ancora un sentimento profondo per mia moglie, ma ho capito che non possiamo più funzionare insieme. Sento che come sono stato nell’ultimo anno io non voglio esserlo più. Non voglio far vedere alle mie figlie come si sputa rabbia nel piatto ogni sera, come ci si ignora, come si finisce per non avere più il sorriso e la pazienza di giocare, di vivere, di stare con loro.
Posso continuare con una sfilza di retorica sul dovere del genitore oltre ogni cosa, sull’amore che non è eterno, come non lo siamo noi. Fondare un accordo sull’amore o su un qualsiasi altro sentimento è ingenuo. Cambiamo. Le nostre cellule muoiono e rinascono e noi con esse quindi perché l’amore no, lui è fottutamente eterno? Altrimenti non è vero!? Ma che cazzo di fiaba è?
Ora vivo di nuovo nella mia vecchia cameretta. Le bimbe vengono a trovarmi. Faccio i compiti con Matilde. Gioco con Cecilia. Mi arrabbio di meno. Non urlo quasi più. A pranzo stanno da me e a cena dalla madre o viceversa. La sera salgo io nella casa dove non vivo più, al piano di sopra, gli leggo la fiaba, ci chiacchiero tranquillamente di vita, scuola, sogni, incubi, equitazione e poi le bacio e gli auguro la buona notte.
Veder piangere mia figlia Matilde quando le abbiamo detto che papà non avrebbe più vissuto nello stesso posto con lei e sua sorella mi ha causato il dolore più forte che abbia mai provato. Peggio di qualsiasi abbandono, della morte di mio nonno, del tumore di mio padre, del 5 maggio 2002, Stadio Olimpico. Ma quel dolore e quelle lacrime sono un investimento su anni futuri felici. Ne sono certo.
Per il resto ora le cose si fanno più semplici per certi versi e più complesse per altri. La vita è sempre una coperta troppo corta. Vi ricordate che avevo un lavoro come autista e che mi ero licenziato? Ecco, sono andato subito a riprendermelo. Ora faticherò un po’ a riaverlo come un tempo, allo stesso stipendio e lavorando sei giorni su sette (ne faccio tre) ma ci sono speranze. Tanto non ho prospettive, niente guadagni possibili su due piedi. Magari se escludo lo stress di un matrimonio che stava andando a puttane, saprò tollerare meglio le difficoltà delle levatacce, i chilometri e chilometri ogni giorno, la fatica, le incazzature con i clienti. Ieri, per dire, a Roma, sono stato trattato come un povero stronzo da un capocameriere esasperato dalla vita cittadina e magari da una moglie che non sa come leccargli il cazzo. Sono stato zitto, testa fuori e vaffanculo. Avevo lasciato il lavoro pensando che fosse la causa dei miei guai coniugali. Una volta disoccupato mi sono lasciato e per forza di cose ho capito che forse avevo fatto una cazzata a licenziarmi.
Non posso permettermi di stare senza far niente, con i soldi della disoccupazione e i quattro risparmi avanzati dall’azione legale contro il mio vecchio datore al laboratorio analisi. Finiranno e non avrò più nulla per far mangiare le bimbe. Non posso pensarci nemmeno.
Direi che è un periodo di merda ma sono ottimista. Essermi tirato fuori da una relazione che mi stava facendo uscire di testa ha portato una calma insperata dentro di me. Ero convinto che io e Mara saremmo rimasti insieme per sempre. Difficile ogni mattina riconoscere che non era affatto così. Riesco a gestire le cose quotidiane con più distacco e serenità. Io e Mara abbiamo ancora tante questioni da definire ma lo stiamo facendo in modo rispettoso e responsabile. Ci vogliamo bene, a modo nostro. Non crediamo che sia utile per qualcuno smettere di rivolgerci la parola e farci la guerra a distanza su come educare le bimbe.
Dobbiamo sforzarci di pensare che questi dieci anni ci hanno lasciato momenti stupendi, due pargole incredibili, molta esperienza sentimentale e umana. Proviamo a ripartire da tutto questo per costruire una vita nuova che magari non sia gratificante al cento per cento ma che spero ci permetta di essere fedeli a noi stessi, al nostro cuore e ai principi in cui crediamo.
Come ha scritto Mara qualche tempo fa, non è cambiato nulla per voi sdangheri. Semplicemente papà e mamma non dormiranno più insieme ma vi vogliono bene e non mancheranno mai per voi tutti. Perché quindi non smettete di piangere e ci abbracciate un po’? Venite, miei puledrini!