E basta! Alla notizia della morte di Dolores O’ Riordan, il popolo del rock insorge con furia e grida che non se ne può più. Cosa sta succedendo da un paio d’anni? Ogni mese dobbiamo piangere la dipartita di un grande artista. Ci vuole una mozione al parlamento, un rituale disinfettante, una petizione da portare direttamente al Diavolo…David Bowie, Chuck Berry, Malcolm Young, Gregg Allman, Lemmy, Eddie Clarke, Chris Cornell, Chester Benninghton, Anita Pallemberg, Tom Petty, Leone Di Lernia…
Due sessantanovenni, un novantenne, una settantatreenne, un sessantaseienne, uno di sessantaquattro e pure ridotto a demenza anni prima, più qualche maniaco depressivo che ha preferito tagliar corto prima del tempo. La metto giù così perché vorrei che vi accorgeste di una cosa: non c’è nulla di strano se togliamo i nomi. Ogni giorno si muore. A 90 anni si muore, anche se si ha un curriculum lungo così di album, concerti storici e denunce per molestie sessuali. Ogni giorno uno stronzo si spara perché nonostante la grana, i figli, la bella moglie e le ville e un pubblico che lo adora, lui non prova nulla e la fa finita. Non giudicate, pezzi di merda. Che ne sapete voi? Prima diventate Chris Cornell e poi vivete e vegetate più di lui e ne riparliamo…
La gente però non si capacità. Si tratta di un’epidemia. Si tratta di un morbo. Qualcosa o qualcuno uccide le rockstar. Ce le porta via. Pensiamo a Heavy Bone. Senz’altro è lui il responsabile, arrestate Enzo Rizzi, per lo meno. Quando si tratta di rock c’è sempre di mezzo il diavolo.
E giù di melassa necrofila sui social. Gente che non sentiva una sua canzone da vent’anni decide di piangere la morte di Tom Petty come se fosse uno zio con cui si hanno avuto problemi di comunicazione ma che in fondo è sempre stato un pezzo del nostro cuore.
Non capisco se questa reazione così bambinesca e impreparata alla morte delle rockstar sia dovuta al rincretinimento generale degli ultimi anni o se sia dovuto a una spiegazione più profonda e complessa. Se è tutta colpa dei cellulari che ci succhiano il cervello e facebook che ne prende la polpa e la spande per bene per la seccatura o se siamo solo analfebetizzati alla morte.
Viviamo in una società che non prevede più un rituale per il lutto. Se muore qualcuno vanno a fare direttamente le condoglianze sul profilo facebook dello scomparso ma quando incontrano i parenti si voltano da un’altra parte pur di non affrontarli. Oggi se a un impiegato gli muore la moglie, in Francia, lui ha diritto a due giorni di riposo o giù di lì. Se ne prevedono quattro per le nozze. Io non so se sia più una tragedia la seconda della prima.
E così, quando muoiono gli artisti che sembravano così immortali, eccoci cadere dal pero, con l’espressione da pero, che immagino soda, ruvida, oblunga. Plat! Morto Lemmy. Non è possibile. Morto B.B. King? Ma come cazzo è stato? E Ozzy è ancora lì. E Vasco è ancora su un palco a farci perep-eeeeeeeh!
Ma come, non è possibile che muoiano quelli che incidono dischi, riempiono le arene e inventano le colonne sonore dei nostri amori, dei nostri scazzi, dei nostri lutti… Beh, per me c’è da chiedersi come abbiano fatto a non morire prima. Era un insulto per mia nonna, per mio cugino, scomparso a 35 anni, per mia zia, sempre giudiziosa e ligia, portata via da un tumore a 52 anni, vedere lui, Lemmy, ancora sul palco, le froge furenti di coca, il fegato spugnante di alcol e la voce catarroide a ripetere ancora quella cazzo di Ace Of Spades! The Ace Of Spades! Con tutto il rispetto, eh?
Quando se ne andarono nel giro di una scorreggia infernale Janis, Jimi e Jim la gente pianse ma senza stupirsene sul serio. Non era perché si stavano massacrando in diretta. Uno non ci pensa mai alla morte finché non arriva. Prendete la Winehouse. Sul serio vi aspettavate che se ne andasse così giovane?
Che poi magari uno pensa che anche il farsi fuori un pezzetto al giorno sia parte dello show. In realtà fanno finta di drogarsi, di consumarsi. Altrimenti come ti spieghi Mick Jegger e Keith Richards?
Che quando moriranno loro arriveranno ancora i noooooo, ma basta, ma non se ne può piùùùù!
Oggi non riusciamo a credere che a un certo punto anche un uomo di 70 anni con 30 di tossicodipendenza, due tumori e un peacemaker, l’ultimo disco di inediti datato 1994, ci lasci per un mondo migliore o per concimare fiori.
Nooooo, non possiamo crederci! Non è possibile!
Personalmente quando muore una star del rock non entro in facebook per un paio di giorni. Sembrano tutti presi da una insensata goliardia emotiva che mi sa di posa e superficialità, come quasi tutto ciò che vedo postare là sopra.
Eccoli, muore Lou Reed. Ok, c’è chi lo ha amato, chi ne soffre e non sa come fare ma evitate di confondervi con la plebe social. Quelli scoprono il nome la mattina, condividono una canzone da youtube il pomeriggio e in serata già se ne sono dimenticati, gli pare così di aver sbrigato la faccenda. Ma perché voi non fate qualcosa di vero, di intimo e profondo? Non c’è niente da sbandierare con il lutto. L’incredulità è ingiustificabile. Mettetevela nel culo. E ponetevi due domande se non vi raccapezzate per la morte di un altro big del riff. Il problema è solo vostro. Date più spazio alla morte nella vostra vita e preparatevi ad accoglierla in modo più degno. Non siate idioti. Trovatevi un nuovo rito, una magia. Abbracciatela. Pensate a Jason Newsted quando morì Steve Ray Vogan. Entrò nel suo camerino dopo un concerto e si circondò di grossi altoparlanti e mise a palla l’intera discografia del chitarrista fino a svenire lì nel mezzo, subissato dai suoi assoli. Così si fa, cazzo!