Negli ultimi giorni ho sbirciato il formicaio letterario italiano. Non mi capitava da anni. Mi ha fatto male tornare a vederlo. Mi ha depresso peggio dei riscontri di vendita del mio ultimo romanzo. Beh, forse no, magari le vendite del mio libro mi distruggono peggio. Invece il formicaio dopo un po’ finisce per aiutarmi a non pensare e questo mi rende più tranquillo. In qualche modo. Prima non lo vedevo così, il formicaio. Ero una specie di cicala oziosa che studiava il lavorio inesorabile di tutti quei giornalisti, scrittori, commentatori, lettori, filosofi, poeti, recensori e bloggher. Li guardavo darsi da fare con le parole e le opinioni, nitrendo per loro una certa ammirazione. Si litigavano l’attenzione con la stessa foga cieca delle formiche con i chicchi e le molliche da mettere in dispensa. Le formiche lottano per sopravvivere e così loro, che si davano (e danno) battaglia sui vari siti cartacei e internettari della cultura VIP.
La verità è che io avrei davvero voluto essere come loro, entrare nel buco guadagnandomi le mie piccole mollicone di sostentamento prima che il grande inverno arrivasse.
Il grande inverno deve ancora arrivare, checché ne dica Giorgione Martin, ma ora preferisco restare qui fuori ad aspettarlo. Non mi spaventa più. Loro invece ne hanno un terrore indicibile. Alcune formiche sono morte mentre si avvicendavano attorno al buco. Altre sono nate e hanno guadagnato uno spazio nel formicaio. Ci sono riuscite senza troppe difficoltà. Al contrario di me, incapace a lottare per molliche e chicchi. Dopo anni ho capito perché: difficile entrare a far parte di un formicaio se non sei una formica.
Con gli anni mi sono rassegnato al mio ruolo di cicala, prima di scoprire oltretutto di essere un cavallo. Padrecavallo.
E ora guardo il formicaio e penso, cazzo, come sono piccoli e insignificanti. Potrei pisciarci sopra e cancellarli via dalla mia vita in un niente. Però poi mi fermo e li osservo. Non so voi ma guardare gli insetti, così tenaci, presi da se stessi, convinti di non avere nulla di più urgente dei fatti loro da sbrigare, è intrigante, fa sentire un po’ come dio che guarda gli uomini.
Immaginate dio che guarda gli uomini e si domanda: ma questi chi cazzo li ha creati così piccoli e disperati? Io men che lui ne ho idea, ma sono interessanti i tipi del formicaio. Mi assorbono. Li osservo e come dio che dimentica per un po’ i suoi problemi divini distraendosi con quelli divertenti dei piccoli uomini, così io, da cavallo mi scordo le mie disfatte letterarie, sentimentali e lavorative per intrattenermi qualche momento con il mio piccolo formicaio degli scrittori italiani.
Sto esagerando, lo so. Ma rifletto: quattro o cinque anni che non prendo in mano una rivista, un giornale, che non vado su un blog o un sito di quelli nominati sopra e quattro o cinque anni che non mi imbatto in quegli scrittori, quei giornalisti, quei critici, quei poeti… Quattro o cinque anni che per me, costoro non esistono.
Eppure sono sempre stati lì: hanno recensito, stroncato, lodato, leccato, si sono sfidati di polemiche, si sono contesi i premi loro, pubblicato i libri loro e svolto i consueti cazzi loro senza che nella mia vita ci entrassero di striscio. Ho solo appreso da non ricordo quale giornale, che lo Strega non garantisce più le vendite di un tempo, anzi. Benissimo, no?
Insomma, essere felici perché si legge meno è paradossale, ma io non credo che i libri facciano bene a tutti. E non credo che molti dei titoli che hanno vinto il premio Strega siano da leggere. Detto questo, se io vincessi il premio Strega ritratterei subito ogni parola. Sia chiaro.
Dove sono stato in questi quattro o cinque anni? Sempre al mio posto. A casa mia, a fare il padre, il marito, lo scrittore, il blogger (non ho mai capito se ci vada l’acca. Ogni tanto la metto e ogni tanto no, per non sbagliare). E non ho mai più sentito nominare i tizi del formicaio.
Strano, no? Voglio dire, loro sono i pensatori, i custodi della cultura letteraria nostrana, decidono le sorti del piccolo mondo libresco italiano. Se non sei nel loro giro puoi anche crepare di genialità e innovatività. Nessuno di pubblicherà mai. Nessuno ti recensirà mai. Nessuno ti offrirà mai uno scaffale alla Feltrinelli. Ma se non vai a spulciare rivistine, giornalini, sitarelli, possono pure essere morti, il paese va avanti verso l’inverno senza di loro.
“Purtroppo” direbbe in coro il formicaio. “Se avessero interesse per ciò che quotidianamente noi facciamo attorno a questo piccolo buco nel terreno, probabilmente capirebbero che la TV li ha derubati di ogni valore morale, che i social li hanno rimbecilliti del tutto e che nella vita è importante leggere buoni libri anziché fare selfie alle proprie scorregge anziché ai nostri libri appena acquistati e sfoggiati come prova della loro cul-tura!”
Il piccolo buco dovrebbe interessarci, capite? E io per un po’ ci ho anche creduto. Loro ci si affaccendano così tanto. Quando sarà freddo, tutte le fottute cicale se la prenderanno nel sedere pinzuto mentre loro saranno al sicuro sotto terra, con la scorta di chicchi e di molliche. Il mondo dovrebbe se non altro invidiare un simile spirito d’organizzazione, una tale invincibile coerenza!
Ma il mondo va diritto in bocca alla glaciazione sociale, e sarà ritrovata da qualche razza aliena con uno smartphone su per il culo, mentre quelli del formicaio saranno nel buco.
Più morti di tutti gli altri con pezzi di mollica pendenti dalla bocca.
Ieri ho parlato con una ragazza piuttosto in gamba che per mestiere è tenuta a seguire le piccole baruffe, le polemichette, le pubblicazioncine di questi signori e mi ha accennato a una vera guerriglia recente che ha scosso il formicaio: un editore avrebbe bloccato la pubblicazione di un libro di critico reo di aver stroncato tre scrittori che NON dovevano essere stroncati.
Vi sembra una questione ridicola, imbarazzante, svilente. Eppure vedeste come ci si baruffano, ci si accapigliano. Scrivono articoloni lunghissimi attorno a questo fattino, replicano, argomentano, si scontrano, si addannano, e soffrono, tantissimo. Dietro tutto questo battersi c’è tanto dolore, orgoglio ferito e sanguinante, sogni infranti, ego trivellati come gruviera. E nonostante tutto questo spreco di energia il mondo là fuori, la grande massa che non guarda, non legge, non sente, non vede ma commenta commenta commenta sui social tutto quanto, non sa neanche chi siano. A sbirciare oggi facebook torna in mente la tetra considerazione di Umberto Eco, degli imbecilli da bar che ora possono esprimere le loro non idee dal bancone di un PC. Mentre prima solo pochi imbecilli da bar potevano esprimerle dal bancone di una rivista, un giornale, un sito illustre. Ora c’è un formicaio più grande, sembra. E ne facciamo parte tutti, cavalli, formiche, cicale, maiali e cani e gatti. Soprattutto tantissimi gatti. I gatti sono l’aristocrazia e talvolta il misticismo di questo grosso formicaio digitale.
Vi dico una cosa: tra cento anni non sentirete più parlare di me. Perché sarete morti, tanto per cominciare. Ma no, scherzo! Anche i vostri nipoti vivi non sentiranno parlare di me. Ma non sapranno nulla di me e nemmeno dell’intero formicaio che spero estinto ma ho i miei dubbi. Il mondo ora e sempre ignorerà le scenette tenzonali degli ommini de cultura ma la mia profezia è rivolta ai loro fottutissimi libri.
Eh sì perché ci sono dei libri, sapete. Nel loro piccolo anche le formiche scrivono. Il bello però è che questi libri sembrano la scusa per nuove baruffe, nuove presenziali scenette, nuovi chicchi e nuove molliche da mettere nel buco.
E non dovrebbero stupirsi nemmeno questi grandi scrittori del nostro tempo di essere condannati all’oblio. Sotto sotto lo sanno bene anche loro. Se fossero convinti della potenza eterna dei propri capolavori, che pubblicano e pubblicano e pubblicano da decenni, non starebbero tutti i giorni a sbattersi in giro per farsi notare dal resto del formicaio e guadagnare qualche chicco in più e un posto privilegiato dentro al buco.
Per dire, vi ricordate di Moravia? Da vivo era onnipresente, letto e rispettato dal mondo che si illudeva di pensare. Da morto solo Renzo Paris si ricorda che c’era un centenario da festeggiargli, da qualche parte tra il 2007 e il 2001.
E parliamo di Moravia, il gigante. Lui era un bombo, un grasso apidao che scorrazzava nel cielo senza chiedersi mai come potesse volare. Le formichine di cui ho parlato fino a questo momento sono carne da macello per il tempo.