Con Exile Amongst The Ruin siamo al livello ideale per il metal di oggi: un piede nell’underground e uno sul bagnasciuga delle produzioni decenti. I Primordial praticano il black-folk e quindi ogni sbavatura, ogni ruggine produttiva fa brodo, ma allo stesso tempo provano ad avere un sound accettabile, grosso, bello tosto. Trovandosi in questo crocevia del vorrei ma non proprio, finiscono per vincere, mandando a favore i difetti (che fanno rawing) e allo stesso tempo esaltando la qualità generale dei suoni, comunque degni di una produzione medio-alta e che in un contesto underground sembra altissima. Con gli stessi soldi, gente tipo i Night Ranger avrebbe fatto un disco di merda. E immancabilmente lo fanno. Perché a oggi i grupponi che un tempo lavoravano con Matt Lange o Bruce Fairbairn non hanno più nemmeno il denaro per pagarsi il tour-bus e così realizzano album apparentemente accettabili, grazie alle moderne tecnologie che trasformano un demo da tremila euro di dieci anni fa in Immaginations From The Other Side dei Blind Guardian e un disco di quindicimila euro di power metal in una roba semi-amatoriale. Perdonate la digressione, era per dire che ormai il livello di investimento commerciale per un disco che, bello quanto volete, non venderà comunque più di mille copie, è comunque questo. Black-folk da diecimila euro. Più di questo il metal è un suicidio artistico e commerciale. Alcuni sottogeneri che negli anni lieti del metal conobbero e si svilupparono grazie alle produzioni alte, non è più possibile praticarli. Pena: lo squallore assoluto che farebbe invidia solo ai Darkthrone. Sentitevi gli ultimi album dei Dokken e poi ditemi. A meno ché non vi affidiate a Andy Sneap o Kurt Ballou (o in Italia, Simone Mularoni)… Ma in genere questi gigantisti del rock/metal fanno da soli, hanno lo studiolo in casa e poi mandano i file a New York per un Mastering di serie. E pensano di risolverla così. Ovviamente poi in questo album black-folk da diecimila euri dovete, come fanno i Primordial, infilarci canzoni bellissime (magari c’è qualche lungaggine qui e là e non sempre le scelte sulla confettura sonora sono proprio sfiziose, ma i Primordial possono dire che loro fanno underground metal e quindi non amano troppo le smancerie da alternative e se ne fottono della noia. La noia è bella perché uccide).
Prendete To Hell or The Hangman, così cavallona, tirata e incalzante. Parte che sembra il basso di Cronos suonato da uno bravo. Poi il pezzo cresce e via con il resto della cavalleria, tastiere, batteria, voce, cori di sfondo. Vai, verso la forca o la gloria. E il miracolo di questo brano è che la tensione non cala neanche a mettersi in ginocchio, è una specie di ascesa graduale in culo a Cristo. I W.A.S.P. darebbero via la mamma (quella che gli è rimasta da dar via) per realizzare un pezzo così. Un esercito di cattivi pensieri che avanza, una coltre di nuvole che prendono forme guerresce, la battaglia di titani grigi su nel cielo avviene davanti agli occhi increduli del piccolo irlandese contadinello, sperduto in un campo di corvi e stoppie. Il cielo si apre e vien giù una mano a raccoglierlo. “Il dio che si accorgerà di te, potrebbe essere solo un altro porco molestatore”. Amen. 7 minuti e 17 così. Testa bassa, braccia strette al collo del morello terrorizzato che vi porta fuori dal bosco di streghe e orchi e fiamme intelligenti.
In questo album però non c’è solo il dramma, c’è la poesia, l’emozione viva degli eroi che muoiono epici, sotto cataste di lire e giambi e immaginazioni millenarie. Exile Amongst The Ruins e Nail Their Tongues è soprattutto a questo che servono, a spingere i nostri cuori verso il nobile disastro e riemergere come spettri orgogliosi tra le macerie di una vita fallimentare ma pura, creduta fino in fondo. Ascoltate il ritornello:
We are the ghosts among the ruins
Without history, without nation
And without names
E ditemi se non vi viene di abbassare il mento al petto, stringere le palpebre in attesa che il vostro cuore ricominci a battere!
Non conosco la band al punto di poter sentenziare a volo di quaglia sull’intera distesa cronologica dei loro album, ma è un po’ che li ho adocchiati e che attendo curioso di vedere cosa combinano. Già il precedente Where Greater Man Have Fallen mi aveva segnato e non ne scrissi solo perché in quel periodo usavo il blog giusto per mandare affanculo qualcuno. Oggi che ho una ricaduta nel sociale, scrivo bene dei Primordial e vi consiglio di ascoltarli, seguirli e avere fiducia in loro.
Da fan dei Malnàtt non posso negare il profondo debito che la band di Porz deve a questi irlandesi, se non altro per la scelta di esibirsi con un cantante pelato. Certo A.A. Nemtheanga ha una voce assai più possente ed estesa. Sembra Blackie Lawless fuori dalla raucedine. Sulla capacità espressiva non siamo allo stesso livello, né del W.A.S.P.E.R. e tanto meno di Porz. Però ci sono dei momenti, in questo album (Upon Our Spiritual Deathbed) in cui il rossopinta sembra posseduto dall’ectoplasma di Warrel Dane. Sentite quando dice:
Your foolish heart
It poisons the well
We celebrate the final days
and see you all in hell
Dai, pare di ascoltare i Nevermore dalla Norvegia.