Cioè fatemi capire, sul terzo disco dei Rivers Of Nihil hanno messo mano due produttori (Carson Slovak, Grant McFarland) cinque ingegneri del suono (Brody Uttley, ancora Slovak, Jordan Straub, Nick Shaw, ancora McFarland), due fonici (di nuovo Slovak, di nuovo McFarland) e un masterista (Alan Dauches)??? Ma che cos’è, un Kolossal? E poi, che i miei zoccoli siano unghie se conosco solo uno di ‘sti tipi. Per riportare l’elenco ho fatto copia/incolla ma proprio non so chi siano. E in effetti non lo so perché non lo sono. Nel senso che loro non hanno un gran curriculum sulle terga. Questi signori sono tutti validi professionisti ma restano un mucchio e in fondo non si capisce se un tale manipolo di “manopolatori” possa aver giovato o dannato a un disco dal sound pregevole ma non proprio coerente.
Che poi questa incoerenza è la cosa che mi ha fatto apprezzare di più il Where Owls Know My Name: è un lavorone, gente, progressive-Death variegato al sax, trombe e violoncello e tutto ciò che i sampler possono offrire, roba ricca, spessa, versatile, che apre il cuore, le viscere e il cervello. Sul serio, mi domando da quanto tempo un album brutale non mi spinga l’immaginazione verso lidi che non siano i soliti umidi e gocciolanti carnai. Si viaggia tosto con i Rivers Of Nihil, non si sa bene dove ma la mente sbrocca sul dorso di ali folli e picchia in direzione di tramonti verde bottiglia. Le chitarre a volte hanno quel suono piattone e levigato delle slamming band ma poi si ingrossa, si assottiglia, si incupisce, si ri-satura, è una specie di costante mutamento temporalesco.
La struttura dei pezzi, per quanto ammantati di una scorza dura e algida si reggono su strutture squisitamente tradizionali. Non ci sono duemila riff, ottanta cambi in sei minuti, qui non serve nascondere le idee che non ci sono perché qui ci sono sia le idee che le palle di portarle avanti. Qui c’è un introduzione, un ritornello, spazio aperto di chitarre pulite, assolo alla Pink Floyd, vola colomba bianca vola su su mentre il cacciator prende bene la mira, vai in alto verso quelle nuvole dense di acida nostalgia e poi ecco che il sassofono ti afferra e, come la pianta di fagioli magici, ti avviluppa e porta fino ai piedi del gigante per servirti a lui come pegno d’amore ma tu scappi giù di nuovo mentre l’urlo di rabbia del gigante affamato sbriciola il sax dentro un tunnel di chitarrone del cazzo e poi la batteria falcidia via il poco di sentimento che rimane. Ma non è finita. Si muore e si rinasce nello stesso pezzo, come si fosse luce del giorno che lotta la sua ragione in una fitta boscaglia di streghe pederaste. Ma dove cazzo sono finiti con queste chiacchiere? Non ne ho idea. Sono in un disco dei Rivers Of Nihil, no?
Secondo qualcuno questo non è l’album della consacrazione, della svolta, della maturità. Ma chi può chiedere più a un gruppo di sbocciare con tempistiche da anni 80/90. Già tanto è che questo discone non sia la copia della copia dei due lavori precedenti e che mostri una crescita e una consapevolezza. Aspetteremo ancora e ancora ma questi cinque pensylvani sono già portentosi. Sentitevi Subtle Change (Including The Forest Of Transition) dove i Gentle Giant incontrano i Cannibal Corpse e insieme fanno una jam su un pezzo dei Kansas e al termine di una smarmittata di assoli e stacchi alla Dreamopolis pt3 ecco che viene fuori un arpeggio invincibile che è una carezza delicata sugli ettari di abrasioni che rivestono il nostro corpo al fondo della sgroppata nella selva dei cambiamenti (di tempo, of course).
Siamo dolore. Il mondo ci insegna a soffrire e noi dobbiamo imparare. La grande lezione da portare sottobraccio al mondo oltre che ci aspetta, chissà con quale significati, chissà con quali idiote pazzie ancora. Lo scoprite in Terrestria III: Whiter. Un boing boing boing di synth alla Carpenter su cui si accomoda l’edera dei fiati prima che una melma di chitarre venga giù con tutto il Paradiso, gli angeli i santi e voi fratelli. Sembrano i Nine Inch Nails al funerale dei Nine Inch Nails. Il mondo finisce e ne comincia uno ancora più demente e parassitario. Infettivo. Lebbroso. Questo ci si attende da una band estrema: poesia, sangue, frastorno, ma anche emozioni, visioni e sensazioni.
Il capolavoro dei Rivers Of Nihil è fatto per accompagnarvi mentre scrivete. Provate a mettere in fila le parole mentre l’album vi si fa strada nella testa. Chiudete gli occhi e battete le ditine, siate medium e aprite lo sguardo rimirando la marea di cianfrusaglie grammaticali che avete messo in fila. Quello siete voi, quello è la vostra vita, la vostra anima, se non ci fosse la musica di Where Owls Know Me a decodificarla in note. Avete capito cosa intendo?