Autokrator – Hammer of the Heretics

Siamo stanchi del solito metal, quello blasonato che si ripete col ctrl+c da almeno cinquant’anni, oggi nascono retroband che ricopiano gli album di quelle band che ascoltavano i genitori di  quei ragazzini che salgono sui palchi, ma con una produzione finto vecchia, che tanto su vinile si sente meglio, anche se la cassetta in verità oggi è il nuovo vinile.

Poi c’è quella nicchia che ascolta i Portal, li ha scoperti solo da Ion, però sono già la band più rivoluzionaria mai sentita. Gli Autokrator rientrano in questa categoria, seppur come stile siamo su lidi stilistici molto diversi. Nel giro di soli quattro anni, questo duo s’è guadagnato il diritto di ‘band che sinceramente mi ha veramente rotto i coglioni con tutta sta pubblicità che gli stanno a fare, e sono solo al terzo disco in quattro anni per dire’.

Qualcosa è cambiato in questo Hammer of the Heretics. Tanto per incominciare la produzione ora più comprensibile… nei limiti. Se andate su encyclopaedia metallum  all’inizio venivano classificati come Death/Drone/Doom Metal, tag che sta a indicare qualcosa come ‘non so che cazzo di genere fanno, quindi ne mischio alcuni stili e tanto la gente col sorrisino facile dirà figa sta band e scaricherà il disco senza comprendere cosa sta ascoltando’. Detta in breve, l’approccio iniziale, special modo al primo disco, è un ammasso fangoso di riff tre toni sotto incomprensibili ai più. Sfido chiunque a distinguere le chitarre a meno di non usare un impianto dolby surround con cavi in oro per una pulizia maggiore dell’audio.

La situazione non è che sia cambiata molto, però qualcosa riusciamo a carpire, a patto di concentrarci su un singolo strumento ad ascolto in un pellegrinaggio in solitudine in un ospedale abbandonato, unico luogo capace d’evocare pienamente le cupe atmosfere che vogliono trasmettere.

Mentre la batteria di Kévin Paradis, guest nell’album e non propriamente parte del gruppo, ci opprime tra blast e rallentamenti improvvisi, è in quello che articola il duo Loïc.F e David Bailey la vera essenza della band. Quanto loro la produzione abbia inciso sul concept finale non è chiaro, ma certo Loïc.F deve avere qualche conto in sospeso con il mixer.

Per comprendere appieno Hammer of the Heretics non basta un singolo ascolto sporadico, ma bisogna letteralmente eseguire un fisting dall’orecchio fino al cervello, grattarsi il lobo frontale, premere una vena, e immergersi il cranio nella pressione sanguigna.

Non bisogna aspettarsi i nuovi Portal no, ma se il mondo della rete ha voluto a ogni costo farmi ingurgitare questo disco un motivo c’era: è che si sono rotti i coglioni del solito metal. E pure io.