Singletudine ai tempi dei social – Considerazioni di un padrecavallo guardone!

Oggi si parla di social e cavalli. – Beh, sono due settimane che salto (hoppy hop!) la rubrica della domenica e sebbene con Cavallo goloso siamo convinti sia meglio evitarla se non si abbia un’autentica necessità di scrivere, eccomi qui che provo a buttar giù qualcosa, anche se non ho idea di che parlerò e magari preferire rimettermi a letto e finire di vedermi la seconda stagione di Channel Zero. Sto passando un buon momento, devo dire. Con il lavoro è dura, di soldi non ne ho (come cantava Lorenz) ma le mie figlie stanno abbastanza bene, nonostante “mamma e papà non abitino più qui”. Proseguo le mie visite psicologiche, scrivo, collaboro più che posso con siti, riviste e organizzazioni segrete per la beatificazione della pancetta di suino… insomma, non rinuncio praticamente a nulla. Sarà una forma di bulimia, chissà… di sicuro sto bene a scrivere, a leggere, a pensare. Di tanto in tanto ho conati di ansia e tristezza ma questa è la vita, aspetta di arrivare al buco del culo.

Passo i pomeriggi chiuso in casa a buttar giù articoli, revisionare libri, guardare film dell’orrore, leggere, tirare su pesi, toccarmi e chattare su wazzap con qualche amico lontano (l’ordine non è necessariamente questo e assicuro i miei contatti di non essere un multitaskin, o almeno di esserlo solo quando guido). In fondo si tratta di una galera? Io direi che invece è la tipica vita dell’uomo-cavallo del ventunesimo secolo. Magari voi uscirete tutto il giorno a fare passeggiate, ma io quando giro nelle città con il mio furgone vi vedo. State in macchina e tenete gli occhi sul cellulare. Ai semafori bisogna sempre suonarvi dietro per dirvi che è verde. Sull’autostrada riconosco da lontano chi chatta mentre guida, lo noto dall’andatura vagamente sinusoidale, da ubriaco al volante.

Alle fermate degli autobus vedo tutti questi adolescenti che attendono il pullman e il pullman quasi che deve strombazzare per dirgli che è arrivato, se no loro rimarrebbero lì tutto il giorno, alzando la testa dallo smartphone giusto per accorgersi che è buio e bisogna tornare a casa. E la scuola? Ah, già, la scuola…

Sto esagerando? Non penso, sapete? Sono single e vi assicuro che la vita è dura. Se adocchio una bella donna in giro e attendo di incrociare il suo sguardo sto fresco, faccio prima a chiederle l’amicizia su facebook. Del resto, se conosci qualcuno di nuovo è la prima cosa che fai. Ci scambi l’amicizia e prosegui sul virtuale, ti ci affezioni, te ne invaghisci, ci litighi, ti ci odi e finisce che lo rimuovi senza neanche averci mai preso un caffè del vivo. Sono banalità ma vere, cazzo. Con facebook si può conoscere già tutto di una persona ancora prima di aprir bocca.

Vi è mai capitato di indagare su qualcuno che vi piace senza che vi siate mai presentati prima? A me sì. Si risparmia un sacco di tempo, in apparenza. Per dire. C’è una bella mamma che porta i figli nella stessa scuola dove li porto io. Ogni riferimento è puramente cazzuale. Riesco a scoprire come si chiama domandando a mia figlia il nome di suo figlio. Cerco su facebook e trovo quattordici persone con quel cognome. Spulcio le prime e scopro che il terzo è il padre di quel bambino e il marito di quella donna. Ha un profilo anche lei. Non è protetto. Guardo le foto, il suo diario. Vedo che è una di quelle che postano le frasi scritte da altri su sfondi di tramonti o sedie sul bagnasciuga o rose o cose così. Frasi del tipo: “se un uomo ti picchia con un fiore non vuol dire che non ti stia picchiando”, oppure, “la donna desidera un uomo che sia pronto a tutto per lei, persino a sopportare il suo assorbente su davanzale della finestra del bagno”. Me le sto inventando, ma sapete, frasi di questo tipo, garbatamente femministe, orgogliosamente vulvoidi, ironicamente ovariche e scritte e confezionate dalla pagina fan di qualche scienziato mentale da social. Poi mi accorgo che tra le letture preferite della mia indagata ci sono Volo e la Littizzetto e che tra i dischi della vita, la tipa enumera tutta l’opera di Laura Pausini ed Eros Ramazzotti (dopo che si è lasciato con Michelle). Ok, fine.

E in tutto questo non penso però a una cosa: era sposata. Che cosa avevo in mente di fare, nel caso fosse stata invece una tipa in gamba piena di post originali sull’esistenza e avesse avuto Checov tra gli scrittori di riferimento e gli Skinny Puppy e i Bloody Hammers nella playlist? Mi sorprende questa mancanza di rispetto per l’istituzione del matrimonio, sapete? E vi dirò di più, non sono neanche tanto sicuro di essere l’unico a non tenerne conto quando adocchio una bella ragazza del mio paese e inizio a fare l’Ispettore Gadget via social.

E anche fosse stata single e il suo profilo mi avesse elencato tutta una serie di gusti e pensieri intriganti, cosa ne avrei potuto dedurre? Conosco donne in gamba, simpatiche, allegre e con le quali potrei anche passare una bella serata che hanno profili disastrosi: meme che fanno ridere mia nonna, dischi orridi, sintassi barbarica, eppure le incontro e trovo siano persone interessanti e anche affascinanti, rustiche, paesane belle, con un sole perenne nello sguardo, una forza materna che mi conquista subito e mi mette voglia di abbracciarle e fare figli con loro.  Al contrario mi succede di imbattermi in una ragazza che dal profilo sembra la mia donna ideale e vederla lì, alla stazione dei treni, riconoscerla, avvicinarmi a lei e rimanere congelato dal suo sguardo incazzato nero, respinto dalla sua chiusa fisica da riccio punzecchiato con un bastone falloide; indifferente alla mia fascinosa e sbavante presenza.

Non so, mi sembra come se in tutto questo ci fosse stata tolta un sacco di roba necessaria, dandoci una sfilza di surrogati. Non frequentiamo più chi abbiamo vicino perché facebook ci offre amici interessanti e su misura per noi che vivono a Torino, Milano, Piacenza (e che per varie ragioni non vedremo mai). Non possiamo più contare sul gusto della scoperta, sul mistero di una bella donna che ogni giorno vediamo davanti a una scuola, perché c’è tutta una scheda di presentazione nella rete che ci leva ogni entusiasmo da subito. Non scopiamo più, ci inviamo orgasmi fonici via wazzap. Hanno accenti esotici questi orgasmi ma poca cosa restano. Non guardiamo più il traffico che ci scorre davanti e l’albero scosso dal vento sopra la nostra testa perché ci vengono offerte foto di paesi lontani, di eventi strepitosi, di donne bellissime e irraggiungibili, se non chiedendo l’amicizia. E a proposito di amicizia. Chi ce l’ha più un amico al proprio fianco adesso che abbiamo millemila amici sparsi nel mondo?

Quante stupide ovvietà, vero? Eppure cazzo, gente. C’è del bello in facebook. Le emozioni sono vere. Le nostre e quelle degli altri. Amiamo i profili di gente che non tocchiamo. Tom Hanks legò il proprio cuore a un vecchio pallone sull’isola di Castaway. Vi pare che non possiamo instaurare una relazione con un volto sul cellulare? Certo, se siamo anche noi su quella fottuta isola!

Però c’è del buono nei social, dai. Per dire: potete trovare sempre qualcuno che la pensi come voi. Scrivete un post tipo: odio i negri di merda! E avrete quindici mi piace dei 4500 contatti di cui siete forti. Diventeranno 3700 nel giro di dieci minuti ma quindici di quei contatti vi rassicurano: non siete soli, c’è gente che vi capisce e odia i negri assieme a voi. Oppure potete scrivere: vado a fare la cacca (io l’ho scritto una volta) e riceverete un’ovazione di almeno dieci persone a colpi di “bravo” “Fala tuta” e faccine divertite. Siete interessanti anche quando cagate. Tutto questo ci porta al vero tumore che i social hanno infilato nelle chiappe della socialità carnaria. La reazione. Facciamo tutto quello che facciamo non perché piaccia a noi e ci dia gusto ma per avere una reazione da parte degli altri. Compriamo un DVD in edizione ultralimitata e diciamo: “non vedo l’ora che arrivi… per postare la foto su facebook!” Capite? Non per vederlo, ma postare la foto!  Per dire: vent’anni fa mi guardavo un film in cameretta. Mi piaceva, lo facevo, stavo bene e basta. Oggi decido di vederlo per scriverlo su facebook. E attendo di sentirmi dire: lo amo, io lovvo, bel film, tu sai di cinema, è una merda, il finale fa schifo.

In ogni caso c’è chi sostiene che non abbia ancora trovato una donna perché continuo a tenere la mia foto con la maschera da cavallo come immagine del profilo. Vero. Tempo fa ci misi quella in cui ero vestito da prete e iniziai a domandare amicizie a manetta a tutte le donne che sembravano abbastanza carine. Ricevetti in un’ora ben tre messaggi da sconosciute che avevano accettato la mia amicizia. Con la prima è nata una simpatica complicità che non si è mai trasformata in niente. La seconda ha chattato furiosamente con me per un paio di giorni, staccando solo quando tornava il fidanzato a casa per cena dal lavoro; poi deve essersi sentita in colpa e ha smesso di darmi retta. La terza mi ha riempito di belle parole sul vero significato della mia missione e su quanto oggi il mondo sia in caduta libera da ogni valore vero. Sta tipa si scattava selfie a dozzine ogni giorno in tenuta da biker, con l’inquadratura vertiginosa sullo spacco delle tette. Alla fine le ho spiegato che non sono un vero prete (le altre due l’avevano capito dall’espressione del mio viso sulla foto) e lei mi ha dato del malato mentale e mi ha rimosso.

Direi che la mia cameretta a volte possa trasformarsi in un capannone di ragni e strane eco. La solitudine con un click.