Therion – Infinite Jest!

Questa non vuole essere una recensione a Beloved Antichrist. Se volete leggerne una fatta bene e competente vi consiglio di cliccare qui. No, è più una riflessione intorno a un disco che si schianta come un Tir impazzito contro la dogana del recensionismo metallaro. Immaginate tutti quei webzinari abituati a sputar fuori sei rece a settimana, piluccando album tutti uguali dalla prima all’ultima canzone, autoreferenziali, fatti con lo stampino così come le recensioni stesse, immaginateli che si vedono arrivare questo album enorme, basato su un’opera letteraria misconosciuta di un narratore/filosofo russo, Vladímir Soloviov. Che il dio Ippo mi ricopra di cacca se so chi sia. Potrei fare il saputone e documentarmi ma per come la vedo io, non basta sapere di che libro si tratti, bisogna anche leggerlo. E quindi comprarlo. E non so neanche se sia disponibile sul mercato; si tratta di un lavoro che non ha mai goduto di grande risonanza e probabilmente è fuori da qualsiasi catalogo, forse non è mai uscito in Italia. Non me ne stupirei.

Insomma, arriva questo disco che non è semplicemente un lavoro metal con inserti di musica lirica (sai che novità!), ma è interamente cantato da voci liriche. Si tratta di un album a metà tra due mondi. Non è il classico lavorone dei Therion, e come mi ha fatto notare Max Incerti Guidotti di Loud And Proud, non presenta le consuete atmosfere nordiche della band. In questo caso Johnsson ha dovuto alzare il culo e muoversi verso commistioni e zone creative un po’ differenti. E per giudicarlo non basta sapere la storia del Death metal, del gothic metal, dello ska-metal e del qualsiasicazzovogliatemettercimetal. Qui c’è da saperne di lirica. E io posso fingere di conoscerla ma sarei sleale. Io non so quasi un cazzo di Opera. Mai stato e di tutta la mia vita passata a sentir musica, se dovessi sommare il tempo investito su Puccini, Verdi, Leoncavallo e Monteverdi non ne uscirebbero tre ore, che poi è la lunghezza di Beloved Antichrist, esatto.

Tra l’altro a Johnsson degli Italiani non frega nulla. Lui è più per i tedeschi, ovvero Wagner. Del resto fu il Tony Iommi della Classica, no?

Il disco però l’ho sentito. E risentito. E risentito. Mi ci sono voluti tre giorni solo per arrivare fino in fondo la prima volta. Non ho una mente allenata a coprire una così ampia distesa creativa. Reggo i primi dodici pezzi, forse quattordici, ma dopo devo fermarmi e ripartire frapponendo diverse ore di stacco tra la prima e la seconda dozzina di tracce. In tutto sono 46 e sempre Max, che ha intervistato quel fottuto genio di Christopher mi ha assicurato che un’altra ora buona di roba è tagliata fuori dalla versione pubblicata perché, secondo lui, sarebbe stato eccessivo.

Sarebbe stato, capite. Non lo sono queste tre ore. Personalmente mi ci sono avventurato come un flaccido bastardo che sa di dover correre 180 minuti senza fermarsi mai. Quindi mi ci sono messo con la tristezza e la paura di chi ha una relazione controversa con i cannoli e se la trascina nel letto. Ho avuto paura di finire ricoverato da qualche parte. E la musica è così totale, tanta, infinita (non sono complimenti, mi riferisco alla durata) che alla fine ho provato lo sballo endorfinico del corridore. A un certo punto mi sono perso dentro questo continuo fiume di metal, Wagner, Manowar, Nightwish, Cradle Of Filth, Wagner, Metallica, Wagner e ancora Wagner. Ah sì. Anche Wagner. E non ho più pensato a nulla, ero semplicemente sprofondato in una sorta di ovattante buco nero in chiave di violino.

Per recensire a dovere un lavoro come Beloved Antichrist occorrerebbe un anno di assoluta dedizione. E Johnsson se lo meriterebbe, perché non oso immaginare il culo che lui e la sua band si siano fatti per mettere insieme e dare coerenza a tutta ‘sta roba. Però non ho tempo e nemmeno la voglia di investire la mia vita in una recensione così laboriosa. Non stiamo parlando di Proust o Michelangelo. Per delle opere tanto grandiose un’intera vita non basterebbe e non sarebbe comunque sprecata se la si passasse a studiarle. Per Beloved Antichrist ho i miei dubbi, con tutto il rispetto. Perché sì, ammiro la gigantezza e l’audacia a perdere di un progetto anti-commerciale che nel tentativo di avvicinare due tipi di pubblico e dimostrargli che sono meno avulsi l’uno all’altro di quanto possano penare, finirà per scontentare entrambe le fazioni e lasciare tutto com’è.

Io penso che Beloved Antichrist sia metal e lo è nel senso del vaffanculo, del viaggio oltre ogni previsione, del sacrificio per il sacrificio ma non so a cosa possa corrispondere per un amante della lirica. In fondo è un genere morto. Magari anche il metal lo è, secondo voi, ma non per me. Già un lavoro così dice il contrario. Però è la stessa critica che ho sempre rivolto ai Rhapsody: non puoi prendere la musica barocca e imitarla per resuscitare la musica barocca. Le arie di Johnsson funzionano apparentemente ma in realtà sono delle vacue imitazioni delle vecchie arie. Non c’è alcun tipo di vitalità nelle melodie che possa giustificare il gran sfoggio di soprani e baritoni o quel che sono. Sono usati come ingredienti per un contesto diverso ma presi da soli non potrebbero reggersi in piedi in un contesto esclusivamente lirico. Sarebbero solo un cosplaying compositivo dei grandi musicisti ottocenteschi. Sono arie a là Wagner, non stanno in piedi da sole. I riff e le melodie più vicine al metal invece possono esistere anche per conto proprio perché quello è il vero linguaggio musicale che Johnsson ha sempre usato per comunicare, esprimersi. E di conseguenza lì c’è la sua vitalità vera. La lirica è solo l’equivalente dei fondali, i costumi, l’apparente antichità di un disco moderno, avanguardistico ma che forse trae la propria forza dall’imponenza del materiale piuttosto che dal contenuto. Non c’è quasi un tema costante. Non c’è un’aria che possa rimanere in testa. Insomma, se  vado a stringere non mi sembra che un simile pachiderma possa riuscire a librarsi su un tappeto di quadrifogli, qualsiasi cosa questa mia chiusa possa significare.