Sono abituato a vivere l’uscita di un disco degli A Perfect Circle come una specie di evento, una roba alla Mosé e il Mar Rosso, per intenderci. E purtroppo Eat The Elephant non apre nemmeno il laghetto artificiale del Cinelli. Non è una stroncatura. Si tratta di un bel disco, ma nulla che mi faccia tornare la voglia di ascoltarlo, dopo le solite dieci volte di rito che riservo a qualsiasi cosa coinvolga il divo Maynard. Eat The Elephant è un disco strano, sfuggente, sguilla via come un’anguilla infingarda che non vuol proprio partecipare al più perfetto dei Natali. Inizia in modo molto soft e prosegue in modo altrettanto soft e si conclude sempre soft. C’è anche un po’ di rabbia ma forse possiamo dire che si tratta del lavoro più solare, pacifico o magari estremamente disperato e arreso della band. Non so decidermi, sapete?
In pratica c’è un sacco di pop da canticchiare. So Long, and Thanks for All the Fish, per dire, o Disillusioned, hanno giri di accordi e melodie che non striderebbero in una qualsiasi heavy rotation di RDS, ma non lo dico come se fosse un problema, anzi, gli A Perfect Circle possono sporcarsi i tentacoli con l’R&B, il rock FM e tutta quella brodaglia che ci allaga il cuore l’intera vita. Perché io mi fido di loro. So che sanno quello che fanno. Però in alcuni momenti devo ammettere che un dubbio mi sia venuto. Perdonami Keenan, ma la fede è sempre più debole a mano a mano che l’età avanza. Quello che non mi torna è la palese mancanza di rabbia. C’è qualcosa di spento nell’animo di questo disco. Hourgless è un discreto scatto del ginocchio sulle palle del dottor Billy Howerdel. Il fiato gli esce e il martellino quasi gli cade dalle mani: il paziente reagisce se colpito nel punto giusto. Anche Feathers è buona, tenta di essere una gran bella canzone ma non sono sicuro che lo sia. Ci vorranno anni per capirlo, credo.
Scommetto sicuro su The Doomed, invece. Stilisticamente e sul piano dell’energia è la cosa più vicina ai vecchi A Perfect Circle e nell’insieme non aggiunge nulla. Potrebbe essere il contributo a James Bond da parte della band: mi riferisco al giro elettrico di chitarra accentato dalle tastiere percussive. Poi però c’è il pezzo centrale e la realtà si apre in due. Quel piano trascina lo sguardo fino alla lingua della saracinesca in cima al sole. E dice di non aver paura a prenderla e tirarla giù tutta quanta. Ciò che troviamo nel ventre del mondo sono dei meravigliosi fiori e api, api a non finire. Ecco dove erano finite…
What of the pious, the pure of heart, the peaceful?
What of the meek, the mourning, and the merciful?
All doomed
All doomed
Prendete e godetene tutti, gente!