Twisted Prayers, quando i Gruesome clonarono i Death

 

Ho dovuto bloccare a più riprese l’ascolto di Twisted Prayers dei Gruesome, convinto d’aver sbagliato cartella sul computer. In una crisi d’incertezza esistenziale sull’ascolto del metal moderno, ho ricontrollato a più riprese anche la data di pubblicazione del disco. 2018. Mi sa che è uscito con almeno venticinque anni di ritardo e col gruppo sbagliato, oserei dire.

Partiamo dalle origini del male; chi sono i Gruesome? Nati da un’idea di Matt Harvey, sapete no, il cantante degli Exhumed, che sicuramente s’era scocciato d’essere sempre etichettato come il cantante dei cloni dei Carcass. E certo, a un dato punto ti scocci.

Savage Land ve lo ricordate? Un buon, non dico ottimo dai, disco old school death metal che non si sognava minimamente di emulare la scuola svedese. E ringrazio, che se sento un altro gruppo che emula per l’ennesima volta un riff degli Entombed per dire… faccio crollare le colonne del cielo a suon di bestemmie. Savage Land è un disco che ho dimenticato subito ma si sa, il gene del clonatore copione è duro a morire, così come lo zoccolo duro del metal.

Il mio mentore mi dice che cloni dei Death ve ne sono stati pochi e brutti. I Gruesome di Twisted Prayers cosa sono quindi? Cloni dei Death spudorati. Basta vedere la cover, sembra Spiritual Healing disegnata durante la sessione di Scream Bloody Gore, ma con un tocco (troppo) digitalizzato.

Se già la prima traccia Inhumane mi aveva lasciato perplesso, l’intro della seconda A Waste of Life mi ha fatto urlare Chuck vive! Hanno emulato fin nei minimi dettagli anche il suono della chitarra, la sua particolare distorsione, i riff  del periodo tra Leprosy e Human. Tanto vale dire che hanno spudoratamente copiaincollato parte della discografia storica. Qualcuno secondo me oserà puntare oltre, fino a toccare almeno Symbolic, ma attenuiamoci  a dargli fede che hanno clonato un singolo periodo, che pur se fosse è stata appunto la firma della band originaria per quasi tutta la sua discografia. Forse lo negheranno nelle interviste quando qualcuno gli dirà: “ma è un nuovo disco dei Death questo?”

E lo ammetto che se Matt Harvey non si fosse dato un contegno cantando in modo consono a se stesso, avrei fermato la gente per strada dicendo “erano vent’anni che aspettavo un nuovo disco, anche se The Sound of Perseverance è una spanna sopra”. Ma di quello hanno copiato poco se non proprio nulla.

Se ci si aspetta un disco originale, si parte già male, perché se si è cresciuti a pane e Death saprete prima dei suoi esecutori quale sarà il prossimo incastro tra una parte di chitarra e l’altra, perché del resto l’ho già detto, ma imitano spudoratamente i Death senza vergogna.

Questo vale come un punto negativo? Con che occhi lo volete guardare? Con che orecchie lo volete ascoltare? Il pregiudizio può essere un nemico a doppio taglio che ferisce prima l’ascoltatore che la band stessa, che infondo vuole essere genuinamente un regalo nostalgico a chi vent’anni fa’ s’è fermato, senza più rimuovere quei maledetti dischi dal lettore.

Per me un ascolto continuo nello stereo fino a quando non ne rimarrò annoiato.