Dissociarsi dall’ambiente musicale quali zine et simili è una lama a doppio taglio. Ti senti più libero dal peso della lettura forzata di siti alla lunga pressanti e noiosi, ma rischi anche di perdere le informazioni necessarie per rimanere a galla nella società. Ergo, se non fosse stato per la solita zine di recensioni americana mi sarei perso Rogaland dei Konsortium.
È certo che come band-progetto non ci sono mai andato pazzo, perché dopo il suggestivo demo e il successivo EP, hanno preso il consorzio è l’anno venduto al becero capitalismo musicale.
Un paragone me lo si deve concedere innanzitutto con i Ghost. Cosa accomuna questi due prog-band (intesi come progetti e non progressive-band)? La totale anonimia. Ergo, la passata totale anonimia. Se i Ghost si è scoperto (e confermato? non ricordo e non m’informo) almeno il viso del cantante, i Konsortium si sono tolti la maschera, buttato al macero le interviste sul… consorzio e la possibilità di cambiare strumentista che tanto il pubblico non se ne accorge se siamo tutti calvi e mascherati. Addio anche a quel vestiario proto fantasma dell’opera. Cosa cazzo ci rimane? Il solito gruppo black metal.
Lo ammetto, quando ascoltai la prima volta il demo e vidi la foto di presentazione, zero informazioni se non ‘facciamo black metal’, con pesanti influenze thrash, per me fu amore a primo ascolto. Vorrei dire, dopo un pezzo simile era impossibile non avere buone speranze pur rimanendo con i piedi per terra.
Duemila e diciotto, fanculo l’anonimia se no qua i dischi non li vendiamo, ecco cos’hanno detto. Io ero anche pronto a non scaricare l’album dico, alla faccia loro. E se mi fanno il concerto gratuito neanche ci vado, e se ci vado rimango serio con la faccia arrabbiata.
Appena ho visto il minutaggio di Rogaland, a ben sette anni di distanza dal precedente, ho imprecato e tanto. Quei maledetti quarantacinque minuti di merda che solo il dio imporchettato sa quanto detesto. Ho raggiunto il mio minutaggio ideale, trenta minuti circa. Se abbondi arrivo anche a 33, ma non tirare troppo la corda che poi si spezza.
Mi citano altrove influenze folk che io sto ancora cercando, come quando mi dissero che gli Amon Amarth erano folk, quanto è vero che si può cagare dalla bocca, e vista ‘sta stronzata direi proprio che è possibile.
Un disco che ricordo facilmente di ascoltare, ma dimentico subito di rimanere attento mentre lo ascolto. Non mi è rimasto impresso nella mente al punto da acclamare un pezzo sopra un altro, forse perché abbastanza omogeneo da essere continuativo senza quel momento di ‘oh cazzo vieni’ con le cinque dita strette. Un disco che ascolti come quei pomeriggi in cui ti vuoi masturbare, scrolli la home del tuo sito preferito e clicchi un video pensando ‘nee dai, smanettiamoci’, e poi la tipa è un po’ troppo chubby, la scopata troppo casual e vieni col glande arrossato dopo svariati skip, perché tanto non vuoi concludere dicendo ‘no, oggi niente’ e farlo ammosciare tra le dita. Ecco com’è stato ascoltare Rogaland.
Eppure l’air guitar non manca nei momenti più catchy, concedetemi l’inglese, quando del resto i Konsortium ripetono la loro timbrica, ma è troppo breve, concentrata nelle prime tracce e subito sfumata. Se li ascolti per la prima volta ti prendono il tiro, ma dopo sette anni vederli senza maschera per me è una sconfitta, che se ci si pensa bene, oggi nel 2018 è una realtà.
E solo i Mgła la usano come scena sul palco, tanto poi tutti sappiamo chi sono. Perché quindi non lasciarsi la maschera, rimanere dei fantasmi d’un consorzio fallito, ma comunque dire ‘ah, ma nella vita reale sono un altro, perché quando scendono dal palco, sorpresa, hanno anche una vita.