Questa domenica rifletto su amore e Messico con i Georgia Satellites nelle orecchie

Ascoltando i Georgia Satellites – Sweet Blue Midnight

Succede che Rick, il chitarrista e cantante dei Georgia Satellites, si lascia con la moglie. E sparisce. Se ne va non si sa dove in Messico. Sapete come fanno gli Americani, no? Quando c’è un problema spariscono in Messico. Poi non si capisce come mai i messicani rischino la vita per scappare negli Stati Uniti, da clandestini.
Comunque Rick va in Messico ma non dice dove. Non lascia un recapito. Poi  torna, dopo tre settimane, con le tasche piene di canzoni scritte mentre se ne stava in una stanza di qualche albergo a ubriacarsi e berciare strofe inintelligibili sulla chitarra o magari durante il viaggio di ritorno, appuntando su dei foglietti versi come questi:

Non mi interessa se non sei sincera
Ci crederò io per entrambi
Ci crederò anche se il sogno finirà
Tu credi in nulla se questo è quello che serve
Sento un vecchio suono familiare

Una volta riunitosi con gli altri dei Georgia Satellites, Rick fa ordine tra gli appunti e ne nasce un disco che vi consiglio, se vi piace il southern rock e le storie d’amore che finiscono male. Il titolo è In The Land Of Salvation And Sin. L’ultimo album con la Elektra. Il penultimo di tutta la carriera di questa band quasi dimenticata. Ingiustamente, quasi dimenticata.

Stavo discutendo con una cara amica sull’effetto che ci fanno certe canzoni malinconiche. Su quanto ci tirino in basso l’umore e ce lo facciano rimanere spiaccicato in terra peggio di quanto riuscirebbe a fare un super lottatore di wrestling con il nostro viso. A terra, nel fango, nella tristezza più invereconda. E dovremmo guardarcene, dai Tenco, i Ciampi, i Browne, i Simon e tutti quei cantanti che raccontano di cose dolorose in modo così meraviglioso.

Io però le ho risposto che secondo me una buona canzone triste è la cura alle sofferenze, non la causa scatenante. E a distanza di qualche giorno ancora non ho cambiato idea. Nemmeno ora che Sweet Blue Midnight dei Georgia Satellites mi rinchiude in una cella di depressione e ragni neri. Perché le sofferenze restano dove sono, anche se non le lasciamo spurgare con un bel pezzo che parla di un amore finito in merda o di una persona cara che non c’è più. Trovo che sia così che diamo aria alle ferite: mettendo su il pezzo giusto che sappia farci schizzar fuori le lacrime che non volevano uscire. Erano lì, dietro le pupille. Non è colpa del brano. Quello ce ne ha liberato. E non è un caso che l’abbattimento dovuto a una canzone che ci fa piangere sia piacevole, tutto sommato. Finisce e noi la facciamo ricominciare. E continuiamo a spurgare. Ed è stupendo, come un tramonto. Un tramonto non è mai completamente rasserenante. In esso c’è sempre un po’ di amarezza, è una giornata che finisce, che muore. I bei colori che vediamo sono le chiazze di sangue dell’ennesimo giorno della nostra vita che muore e non tornerà più.

Ho detto anche un’altra cosa a questa mia amica. E cioè che ho 40 anni e so delle cose ora che a 20 anni non sapevo. So cosa si prova ad amare tanto una donna e sentirsi felice e scoprire che si è vissuto praticamente un film intero tutto da soli. Buffo che il merito di questo prezioso insegnamento sia proprio il suo, e io la ringrazio perché non ci si può mai fidare dell’amore e l’amore non serve a far nascere un altro amore o a riconquistare un cuore che ha smesso di battere per noi. Si può amare fino a morirne ma è efficace come accendere un incendio senza l’uso delle mani. A meno che non si è la firestarter di Stephen King, immagino. Però anche lei avrebbe potuto infuocare un palazzo, ok, ma non il cuore che desiderava incendiare. O meglio, fisicamente sì, sarebbe riuscita a dargli fuoco ma metaforicamente, sul piano sentimentale proprio no. Insomma, prima non lo sapevo e ora lo so.

E so cosa significa amare una donna ed essere riamato. So anche cosa vuol dire amarsi per giorni e giorni e giorni tutti uguali, un po’ noiosi fin quasi a dimenticare che si vive e si dorme e mangia su una bomba inesplosa. E conosco la fine di una storia. So che non ci mette granché a precipitare, anche se poi guardi meglio e col tempo ti accorgi che la caduta è iniziata molto ma molto ma molto prima di quanto pensassi.

Conosco il dolore e la felicità, la tristezza e l’euforia di un cuore pieno e grondante. E tutto questo è fico. E no, non c’era scampo. Mi toccava passare attraverso questo sentiero di brace, se volevo arrivare qui senza sentirmi un coglione. Cosa avrei dovuto fare? Ritrovarmi a quest’età e non conoscere ancora nulla di tutto questo? Sarei stato un ragazzino nel corpo di un adulto e mi sarei sentito forse più triste di quanto mi sia mai sentito con il cuore spezzato. Io ricordo cosa voleva dire allora avere un cuore integro mentre intorno tutti gli altri si spingevano le mani al petto e cadevano e si massacravano di cazzotti sulle tette, si rialzavano e cambiavano modo di parlare, di sorridere, di pensare. Era così vasta la tristezza di quei pomeriggi passati a innamorarmi delle bariste. Loro smettevano di considerarmi reale appena gli finivo di dire che volevo un caffè lungo macchiato caldo con zucchero dietor e un bicchiere d’acqua minerale possibilmente non scialita. Non ero un rompicoglioni, cercavo solo di mantenere il più a lungo i loro occhi nei miei, di avere i piedi dentro al loro mondo finché potevo. Figuratevi che quel caffè come lo ordinavo neanche mi piaceva!

Ma ora, a quarant’anni… cosa me ne farei di un cuore intatto a quarant’anni? Lo nasconderei come un soldato farebbe con il fucile che non ha mai sparato un colpo.

La sofferenza è il solo modo di conoscere certe cose. E conoscere le cose è il vero scopo di tutta questa tiritera che qualcuno chiama vita, e qualcun altro “uno sporco e puzzolente cimitero per vagabondi morti e putrefatti”. Oggi so capire a fondo le canzoni migliori. Oggi so toccare gli altri a un livello di profondità che vent’anni fa non avrei mai raggiunto. Oggi cammino per le strade, non sempre, ma a volte rilassato come un bambino. In pace. Con le mie cicatrici appese al petto tipo medaglie. E attendo di sapere ancora un sacco di roba: per dire, cosa si proverebbe a innamorarsi ancora a quarant’anni, di una barista carina e scoprire che è proprio lei a essersi presa una cotta per me, cliente tra tanti, ma con delle richieste prolisse e ridicole e un’aria tipo cavallo da tiro un giorno che piove troppo per tirare?