Ho notato per caso che è passato un anno da quando parlai dei Bizarre Uproar. Invitavo il pubblico a fottersi perché incapace di ascoltarli. Non è cambiato poi molto, potete continuare a fottervi da soli nello sgabuzzino di vostra zia con la sifilide, per quel che mi frega.Questi giorni mi stavo palesemente sentendo di fottere per non aver comprato in tempo una loro t-shirt, ma erano rimaste solo la M e la XL e io indosso L. Questo non è un paese per persone non troppo larghe.
Tra i vari album della loro discografia che più mi hanno colpito cito sempre Rape Africa, che ironicamente come titolo sembra cadere a fagiolo con l’attuale situazione giornalistica, solo che con i negri non centra niente. O forse sì?
E perché parlare di questo poi? Beh, mentre giravo i vari store online ho avuto modo di trovare nella Filth & Violence Records la riedizione targata 2018, in cui non mi dicono esattamente cosa ci sia in aggiunta, contando che l’edizione cd classica è ancora in vendita. Non è un sold out, non è una remastered; solo lui sa cos’è.
Anzi leggendo su discogs, noto che hanno aggiunto solo una live track come bonus. Una roba per feticisti insomma. La cover diversa non la considero qualcosa di eccezionale.
Parliamo del disco.
La colonna sonora della mia estate, forse? Solo se sdraiato su di un materassino, trascinato dal mare a sperimentare quale può essere il terrore d’un viaggio in un barcone. Perché con l’Africa questo disco non centra un cazzo, ma quei suoni cacofonici non sono nient’altro che le urla d’un continente stuprato.
Non credo che i Bizarre Uproar siano a favore dei neri, anzi, però questo disco è un must del terrore. S’inizia con un basso registrato in presa diretta: male & gretto & distorto da fare schifo. A mano a mano, anzi, di arto in arto, i volumi diventano palesemente insopportabili, poi vi si aggiungono le urla di Adolf Christ. Se prima potevamo anche dubitare della sua attitudine politica, ora è impossibile; quest’uomo ha stuprato l’Africa. E di piede in piede l’album prosegue e il livello d’incomprensione ironicamente diminuisce.
Mi si intenda: seppure tutto ciò che avete studiato fin dalla nascita riguardo la musica in quanto tale viene letteralmente gettata in un porcile, e da lì riprelevato, portato in un mattatoio, trasformato in salsicce, vendute al super mercato, mangiate fredde da un team di nazisti e cagate su una qualche bandiera d’uno stato africano a caso (Io scelgo la Repubblica del Senegal), è proprio comprendere ciò che rende Rape Africa un ascolto riprovevole degno del suo nome. È come se le urla che sentite fossero quelle dell’Africa stuprata, la sua popolazione distrutta, la guerra incessante, i passi di chi fugge per morire a pochi metri dal vostro porto e la gente ride, come state ridendo voi ora.
In Conclusione
Non c’è niente di bello dietro questo disco, solo un incommensurabile odio. Un odio verso il nome che porta il pubblico che l’ascolta e anche chi crea la non musica stessa contenuta nel disco. Me li immaginano i Bizarre Uproar mentre ridono non dell’ennesimo sbarco fallito, ma di chi ascolta questo disco cercando di dargli un senso inneggiando al nuovo noise.
Col braccio teso e le lacrime agli occhi dico che questo disco è l’ascolto (recuperato) dell’estate, perché se devo scegliere tra l’ennesimo telegiornale o saggiare il sangue caldo che fuoriesce dalle mie orecchie provando un brivido freddo per la capacità di ridere ascoltando ciò, beh io scelgo di stuprare l’Africa.