Come ogni settimana arriva la rubrica della Domenica, e come ogni Domenica se non mi è accaduto qualcosa d’eclatante non ho molto da dire. E allora perché scrivere? Perché se continuo a latitare la gente inizierà a darmi per morto, la cosa non mi dispiace. Però magari dispiace a loro che io sia morto, quindi…
Ho sempre desiderato fingere la mia morte, o almeno continuare a percepire il mondo attorno a me una volta lasciato il mio corpo, sperando che non eseguano un autopsia. Tanto lo so che una volta crepato mi aspetta il buio e la cosa mi solletica poco, perché volevo sapere quali facce si sarebbero presentate al mio capezzale.
Nel corso del tempo ho guadagnato molti nemici, di molti dei quali narro le gesta qui nel blog e a volte mi chiedo se qualcuno di loro si presenterà al mio funerale. Se farà una tragedia napoletana, Qualcosa del tipo che in realtà mi voleva bene, ma non sapeva come recuperare il rapporto. Questa sarebbe fantastica. Poi in verità non sono morto, m’alzo dalla bara urlandogli addosso qualche frase a effetto, e si torna a odiarci più di prima.
È una vera sconfitta questa; l’impossibilità di mandare a quel paese la gente per sempre.
Non ho partecipato a molti funerali, ma quei pochi che ho visto avevano in comune sempre la stessa cosa: le lacrime di coccodrillo. È inutile presentarsi alla famiglia e dire ‘condoglianze’, se per ricordarsi il nome del defunto bisogna tornare a leggere il nome sul necrologio. Drogati del dolore altrui, come li ha narrati mia madre. Vecchie che si presentavano al funerale di turno, con la salma ancora calda, riempendo le pause dei pianti con commenti tipo ‘vedi come piange la vedova’; come se le lacrime fossero una fonte di lunga vita a cui attingere.
Ed è questo che mi fa soffrire, perché voglio godere anche io di quei commenti sulla mia pelle. Essere protagonista e non poter recitare il proprio ruolo, anzi forse la migliore interpretazione della mia vita. Ho una sola battuta: sono morto.
Ma stavo dicendo, queste due settimane non hanno avuto niente di eclatante di cui parlare. Nessun mega evento che mi ha visto partecipe, a parte il Bari Hardcore Fest. Ero stanco, ho bevuto molto. Sono diventato insensibile ai super alcolici. Dai: mezza bottiglia di whiskey misto cocacola, più altri alcolici random e rimanere sobrio.
La sobrietà è il male dei concerti.
Certo, non voglio ridurmi come quella gente che al secondo gruppo lascia il locale, perché sta mollando una chiazza di vomito come una lumaca, ma almeno raggiungere quello stadio di insofferenza al dolore e restar privo di qualsiasi senso pudico, come quando decidi di pogare con le braghe calate. Il piacere della vita e fare le stronzate e non averne vergogna, per questo ci ubriachiamo.
Sfido qualcuno a ubriacarsi per il solo piacere di vomitare. Cioè, conoscevo una persona che lo faceva, ma per me l’equilibrio come ho detto è rimanere tra l’essere un coglione e il quasi aver perso la memoria, se no che gusto c’è?
Qual è il piacere di non ricordare nulla? Come se non valesse la pena imprimere col fuoco nei propri neuroni, almeno quelli che sopravvivono, l’attimo in cui ti sei slogato la spalla.
E non ho altro da dire, perché questa Domenica è lo specchio di una settimana, un periodo della mia vita che attende la fine dell’estate, così che l’autunno possa portare nuove idee nella mia mente sconclusionata.