Torniamo a parlare di musica (che è meglio) con l’ultimo dei Primal Fear. Se mi avessero detto che avrei scritto una buona recensione di questa band, anche solo a Capodanno dello scorso anno come fausto presagio, mi sarei limitato a una sferzata della mia coda prima di rilasciare un cumulo di fumigante diniego.
Eppure eccomi qui a dire il meglio possibile del dodicesimo album del gruppo di Scheepers e Sinner. Come mai? Forse è colpa mia. Non voglio assolutamente sostenere che questo Apocalypse abbia qualcosa di speciale. Si tratta di un impeccabile discone metal, classico e potente, in cui la band spacca le noci che deve spaccare. E lo stesso si può dire degli altri undici album. Tutti grossi, metallosi, priestiani e teutonici eccetera eccetera. I Primal Fear in fondo sono rimasti sempre gli stessi. Dal 1998 a oggi non hanno cambiato granché. Sono io che mi sento diverso nei confronti di quello che fanno da una vita. E alla fine, restando nella loro posizione, perseverando, hanno avuto ragione anche su me e le tante fisime che ho avuto riguardo il truismo e la referenzialità ostintata (che nell’arte sa sempre di morte).
E invece eccolo qui, Apocalypse (un concept sulla fine del mondo, wowow, che novità!) con i suoi riff alla Painkiller, i suoi acuti alla Painkiller, le sue cavalcate epiche, i fischi tipo Zakk Wylde, persino qualche passaggetto alla Killswitch Engage e i quattro quarti molossidali. E io piccino che mi accoccolo ai piedi del gigantallico della primaria paura e gli chiedo venia e mi tengo stretto alle sue staffe implorando di non essere schiacciato sotto tanta inarrestabile ferraglia. I Primal Fear però sono magnanimi e mi risparmiano. E io striscio via dopo i vari ascolti ai margini della potenza e scrivo la mia umile recensioncella.
Ammetto di apprezzarli di più quando meno li riconosco. Però devo riconoscere che davanti a composizioni come King Of Madness o Supernova bisogna solo chinare le recchie e tacere. Ha del prodigioso che nel 2018 qualcuno riesca a sciorinare ritornelli così classici e vibranti e corroboranti e galvanici senza far pensare a nessun sasso miliare del genere. No, il mio uso degli aggettivi potrà sembrarvi un po’ loffio ma è a fin di bene, vuol solo esprimere sincero entusiasmo che non si ciba semplicemente di se stesso. Apocalypse indubbiamente è frutto di una dieta proteinica ma questa merda così soda e impenetrabile è buon concime per i vostri cuori.