Accuser – Repent ’till You Puke!

Ma vedete quanto mi fa viaggiare il metal? E nemmeno senza muovere il culo dalla sedia! Sono a Siegen (con la mente). Provo a figurarmi la città di Rubens, “pittore di re” e degli Accuser. Li vedo che si aggirano per le viottole, birra in mano, nel 1992. Chissà che panzane il cuore gli faceva sperare per il futuro? Bei tempi. Quando anche i crauti sognavano formiche verdi.

Che poi non si scrive così. Accuser, dico. La s dovrebbero essere formata due esse intrecciate l’una sull’altra, ma non riesco a copincollare il logo nella bozza e nemmeno ci provo: ho il sospetto che farei solo un gran casino. Quindi, parlerò degli Accuser, ma voi sapete che dico quegli Accuser, di Siegen, con la coppia di s, una che prende il sopravvento sull’altra. Sembra quasi che la seconda s non sia d’accordo, come se la prima stesse esercitando una sorta di violenza.

Ma andiamo al sodo. E che sodezza, gente. Sentite qui i prosciutti del thrash. Grintosa carne suina di Westfal-ya! Non vorrei illudervi o millantarvi. Non so praticamente nulla degli Accuser. Conosco solo Repent e qualche brano sparso qui e là che ho sentito grazie a You Tube. Hanno una discografia sorprendentemente folta e io sono un indegno ma non mi sento di sprecarci tempo a sentirla tutta per dire quello che più o meno già so, ascoltando Repent dopo neanche cinque minuti dall’inizio. Tenendo conto che a distanza di 32 anni dalla nascita, questo gruppo non ha mai ottenuto grandi consensi, sono pronto a scommettere che sia giusto così. Dieci dischi thrash, che tiro a indovinare, sono tutti molto influenzati sia dalla scuola “franciscana” che dai Sepultura di Beneath The Remains. Basta sentire l’attacco di Rotting From Whitin, per rendersene conto. Il vocione cavernicolo di Frank Thomas ricorda Maxone Cavalera ma anche un po’ il Rob Zombie dei tempi della Sexorcisto. Se non fossero dischi usciti nello stesso anno, questi degli Accuser e il capolavoro dei White Zombie, potrei pensare che il tedesco rifaccia il verso all’Americano. Ma così non è, sapete cosa si dice: le idee arieggiano, sono nell’aria, e i cervelli tante volte non ha caso scorreggiano. 

Il disco degli Accuser non è la perla che dovete recuperare. Non è il tassello mancante di un’evoluzione sonora dolorosamente incompleta se non ci infilate dentro Repent. Questa è una cosa che capita di rado e c’è da discutere. Per me è successa con i Demolition Hammer, per dire. Ma basta così. Repent è un buon lavoro thrash per il 1992, se analizzano nella prospettiva di un gruppo giovane che chissà quante belle cose potrebbe ancora combinare e che nel 2018 scende nei voti al poco più che sufficiente disco thrash che guarda ai Metallica pre-Black Album, ai Testament, ai suddetti Sep, e si concede anche qualche sperimentalismo industrial, con la conclusiva Metal Machine Music (Cover dei Die Krupps, che mi cascasse un’occhio se io sappia chi siano), senza aggiungere nulla di sostanzioso a quanto detto dai migliori esemplari della razza.

Però è piacevole rivisitare la storia del thrash passando per le retrovie, le zone paludose dove idee già archiviate dai maestri, sono ancora rigirate tra le dita degli allievi, che le annusano, le rimirano e grugniscono poi invocando aiuto direttamente alla luna. Repent è un album dai suoni quanto meno discutibili. Li ha creati il batterista Volker Borchert, che per quanto ne si sappia è il solo episodio da producer della sua vita. Non è neanche sicuro che si faccia ancora chiamare Volker. Volker Texas Ranger? Ehm, scusate. Insomma i suoni non escono molto bene. Però siamo generosi. Andiamo oltre. Fatemi un favore e sentitevi Sacrifice Machine e rimpiangete (se non voi, io) il tempo in cui c’era una così fervida connessione tra narrativa Cyberpunk e thrash metal. Quel pezzo è maligno, cosa rara per le band giun giun giun. E mi scatena immagini di pagan tech, rituali dentro una vecchia fabbrica abbandonata con un Terminator che si gode il tributo annuendo nell’aria con le sue corna caprine in ghisa.

Provate Nosferatu, che se invece di essere un pezzo su un vampiro fosse stato incentrato sulla figura di qualche mostro più dinamico e mannaro avrebbe avuto più senso, ma è indiscutibile che sia un buon pezzone che la mena nei punti giusti. E poi calatevi la patta e via i pantaloni quando gli Accuser con le esse che si stuprano, attaccano The Drones, e c’è quel riff che a breve recupereranno anche i Carcass per Heartwork. Quanto si vede poi che sì, le idee sono nell’aria ma se a captarle è un ensamble inglese rivoluzionario viene fuori Embodiment, e se invece passano per le grinfie di un fottuto gruzzolotto di thrasher sempliciotti e tedescazzi, ecco che non si va oltre a “Hetfield and the Nerds”. Sta di fatto però che è tutto lì il bello del palm mute metal. In quello che succede all’inizio di The Drones. Chiunque usi questa formula ha matematicamente vinto su tutto, sempre. Riffone stoppato, attacco di batteria, il mondo appresso a scapocciare e su tutta la bolgia di catarro un pischellone che urla: “Witness Knocking At My Door…” o quel che è.

Ora, la rece è finita. Siccome però è sempre bene farne anche una versione in Inglese, così dall’Indocina capiscono quello che scriviamo, ci leggono, visualizzano, visitano e condividono, ecco un breve sunto nella lingua d’Albione, secondo i nostri modesti conoscimenti idiomici della rece di Repent degli Accuser:

The krukken thrash metal band of Siegen, Germany land of Rubens, painter of the Kings and the Accuser, with the double s in a idealistic rape of letters… na, già mi sono rotto i coglioni. Se è la finisco poi.