l'incanto dello zero
l'incanto dello zero

Chi è che comanda! Rece de L’incanto dello zero

Il segno del comando sono una band progressive-rock italiana. Punto. Con un identikit simile non credo che gli avrei dato nessuna possibilità. Poi ho parlato con Maximus Doomicus, un amico di Sdangher, e lui mi ha messo nell’orecchio puntuto una sfilza di pulci a non finire. Suonano come i Goblin, i testi li ha realizzati un autore esterno alla band, un tipo stranissimo, molto particolare che si è ispirato a un proprio romanzo dal titolo Lo zero incantatore. Tu che sei satanista, tu che ami l’horror, tu che certe sonorità sinistre ti ossessionano… 

E così mi sono fatto mandare il promo. L’incanto dello zero è un disco meraviglioso e ora vi elencherò i miei perché a riguardo. Prima cosa è profondamente italiano. Non ci troverete solo i Goblin e tutta la cricca prog degli anni d’oro. Io ci ho sentito anche i Litfiba di 17 Re (specie nella marcetta di Al Cospetto dell’inatteso) e i Timoria dei bei tempi di Renga (Nel labirinto spirituale). Magari i ragazzoni de Il segno del comando mi tireranno le ciabatte a sentirsi accostare a queste band però io ce le ho trovate. Come ci ho sentito lo score della serie Don Tonino sull’incipit di Al cospetto dell’inatteso. Ma cosa avete da ridere? Don Tonino era una serie riuscita per i suoi tempi, in certi momenti faceva anche paura e la colonna sonora era di gente come Franco Godi e Pinuccio Pirazzoli, grandi professionisti e compositori versatili nel cinema e la TV anni 80 e 90. 

Ma questo per dire che Il segno del comando è una band che viene fuori nuda e dura dalla terra che l’ha concepita, ed è cosa rara in Italia, specie nel rock di un certo livello. E all’estero ce li invidierebbero. Il disco L’incanto dello zero sarebbe un sogno per Mikael Akerfeldt degli Opeth. I suoi due ultimi Pale Communion e Sorceress sono sghembi tentativi di realizzare un lavoro di tale spessore, coerenza e soprattutto che suoni sinistro ed elegante, vintage e moderno assieme come molti dei lavori del nostro vecchio prog che lui si svena a comprare in vinile su ebay. 

E poi c’è questo lavoro sui testi che mi ha davvero convinto. Ci vuole audacia a cantare le parole di Cristian Raimondi. Non ho letto il suo romanzo (e sarei molto curioso di farlo) ma riconosco il grande lavoro interiore che c’è dietro alle strofe. Il cammino spirituale inteso come un labirinto in cui è necessario perdersi, la via esistenziale lastricata di false uscite e illusori rifugi, la necessità di ascendere oltre i satanismi e le religioni/filosofie distruttive, il destino solitario di chi non accetta di vivere per vivere ma vuole anche trovare se stesso… o meglio inseguire se stesso. Perché la vita è una sorta di pedinamento maldestro di un noi che è più avanti, sfuggente, sdegnoso e codardo, inarrivabile e vicinissimo. Magari non sono le parole che userebbe Cristian ma io ci ho sentito sta roba.

Ed è per questo che L’incanto dello zero è un grande album, perché ti fa lavorare il cervello a livello istintivo e immaginifico, grazie alla musica (che come nessuno sa cogliere l’essenza terrifica dei Goblin senza mai sguillare nel mero scimmottamento) ma anche con i testi, pieni di spunti sinceri, criptici ma in modo positivo, senza incaprettamenti lessicali alla Renzulli/Pelù/Battiato. Oh meglio, un po’ di Battiato nella solennità di certe frasi si sente, ma non c’è nessuna sterile ironia dietro. Da certe parole di Raimondi, così austere e unte, scaturiscono evocazioni personali che le nostre menti realizzano intorno alle spesse mura della sintassi sua. 

E poi ci sono canzoni bellissime. Dico tutto e niente ma sento profondamente questo aggettivo, bellissime: Il calice dell’oblio, Nel labirinto spirituale e soprattutto Il mio nome è menzogna sono i tre cardini di un gigantesco e minaccioso portone, i cui sigilli esoterici incombono sugli incauti bussatori. Con pazienza e dedizione però la soglia finisce per schiudersi a uno tenace bussare e rendere ai più pazzi e tignosi un buio spesso ma in qualche modo odoroso di famigliari vecchi odori e dentro di esso si aggirano voci che sentiamo di conoscere. Ne L’incanto dello zero, non tutti, ma alcuni di voi potranno forse trovare ciò che cercavano da così tanto tempo, che si erano persino scordati di cercarlo.