I Comatose Vigil furono ai tempi uno dei gruppi funeral doom metal più avviliti di sempre. Ricordo quando comprai il loro Not a Gleam of Hope e ne rimasi atterrito. Tutt’oggi riecheggia nel mio cuore come un vecchio funerale finto davvero male. Dieci anni circa di carriera, due soli album e poi l’addio alle scene.
Il progetto è rimasto chiuso in una barra da allora, con giusto una breve riapparizione. La band ovviamente frantumata s’è diramata in altri progetti, ognuno con le sue idee, qualcuno anche un barlume di vita, tranne A.K., il cantante e batterista. Lui no, lui è rimasto bloccato in quella camera ardente, martoriandosi in altri progetti tipo i proficui Abstract Spirit.
Però qualcosa gli ha fatto desiderare di resuscitare il suo precedente progetto, ma ahimè i diritti d’autore sono sempre un problema e, per evitare richiami in tribunale, lui decide di aggiungere appunto le sue iniziali al nome, (ri)creando i Comatose Vigil A.K..
Non più nella doppia veste di batterista e cantante, ma solo come voce. E in questo nuovo percorso chiaama altri amici veterani per dar luce a un feto morto chiamato Evangelium Nihil: David Unsaved degli Ennui e John Devos, personaggio a me sconosciuto ma che noto essere un poliglotta dei generi metal.
Il disco per l’inverno, per avere freddo d’estate, un disco per odiare l’esistenza, lo svegliarsi la mattina, il sole che trafigge gli occhi cisposi.
Se Dio è morto, la sua tomba non risiede in Evangelium Nihil.
Un’ora, undici minuti e cinquanta secondi per sole quattro tracce d’una ritmica marziale e lenta, come una marcia funebre tra le fredde lenzuola del letto che ci aspetta in queste sere prima di addormentarci.
Dal mio canto non siamo come ai temibili ma sublimi tempi di Not a Gleam of Hope, ma del resto questi non sono i Comatose Vigil, solo il rilancio di un uomo che voleva ancora dire qualcosa sotto questo nome prima d’esalare l’ultimo respiro.
Il suo non è un messaggio di gioia, e non so neanche se le gelide membra del suo corpo avranno voglia ancora di ridestarsi per raccontarci qualcosa.
Il percorso creativo del funeral doom metal è rarefatto, al punto che per quando ci sarà una nuova eclissi discografica per i Comatose forse non saremo neanche più su questa terra. Il mondo emetterà un gigantesco ronzio, come nella conclusione di Deus Sterilis, con le mosche intente a mangiare la carcassa di quella divinità che qui non è mai risieduta.
Sedersi e ascoltarlo tutto d’un fiato è semplice quanto infilare la testa in una busta di plastica in attesa del buio, alle undici della mattina.
No, in questo disco non vi è nessuna luce dopo la morte, solo la morte.