L’occasione è certamente originale. Bruce Dickinson, storico lead singer degli Iron Maiden, presenta la sua autobiografia – A cosa serve questo pulsante, uscita da poco anche in Italia per Harper Collins – in un contesto lontano dal clamore delle folle che di solito accolgono i Maiden stessi. Una situazione tranquilla e potenziale occasione ghiotta per vederlo da vicino e, magari, scambiarci due parole, una foto, un selfie, un autografo.
Il fan tipico, comunque attento, soprattutto per questioni economiche, alla scelta degli eventi da seguire, a questo punto può andare in crisi: è Dickinson, e l’affare è ghiotto, soprattutto considerando che con il biglietto è inclusa in automatico una copia autografata del libro. Ma si tratta pur sempre di un non-concerto, e per di più in inglese ,cosa che scoraggia molti nel nostro paese, che ancora la lingua d’Albione la masticano poco.
Il Dal Verme in effetti è pieno solo per tre quarti. Cosa che, almeno a intuito, favorirebbe la possibilità di avvicinare il cantante. Ma Bruce non è Steve Harris – che concesse foto e strette di mano in occasione del tour “semi solista” con i British Lion – e le cose vanno diversamente, se non per pochi fortunati e coraggiosi che riescono a scovare in tempo l’albergo in cui dorme. Agli altri tocca rimettere in borsa il pennarello con la copia in vinile di Powerslave e “accontentarsi” di vedere il poliedrico singer a pochi metri di distanza.
Particolarmente fortunato, o veloce nell’acquisto del biglietto – del resto, “be quick or be dead” – chi scrive in questo momento, che si ritrova in prima fila con Dickinson a pochissimi metri di distanza. Per il resto sono tutte ottime notizie. Innanzitutto dal punto di vista della comprensibilità. Lo diciamo nel caso qualcuno volesse provare a seguire le tappe successive del tour (a questo link per verificare le novità): un po’ di inglese, va da sé, bisogna saperlo, ma basta veramente un livello “basic” perché Bruce si fa capire benissimo aiutandosi con gesti, imitazioni, mimica attoriale – ha studiato recitazione al college, come racconta – e con il solo ausilio, senza alcuna moderazione, di un proiettore e una birra.
Parte spesso dalle foto e poi chiacchiera, come un autentico stand up comedian, non lesinando in battute ma sorvolando su ogni questione spinosa possa riguardare i Maiden – trattati nel complesso abbastanza rapidamente – e dividendo la serata in due parti distinte. Nella prima parla lui, seguendo i capitoli del libro: l’infanzia in contesto contadino, l’adolescenza con la storica pisciata nel trofeo del preside, l’entrata nei Samson con i piccoli tour tra Inghilterra e Scozia, la Vergine di Ferro e il grande successo, arrivato fin troppo in fretta, la carriera solista, il ritorno nei Maiden e infine anche il cancro a testa e gola che lo ha colpito nel 2015, affrontando la cosa, lui racconta: “come una parte di me. Ho creato io quella cosa quindi le ho chiesto gentilmente di andarsene, prima di farmi incazzare. Sono un tipo che parla gentilmente ma si porta dietro una bella mazza per difendersi, sperando di non doverla mai usare”.
Ampie risate quando fa autoironia sui suoi vestiti – in particolare i pantaloni –durante i tour con gli Irons ammettendo di essere invidioso delle gambe perfette di Steve Harris. E poi chicche come le foto di gruppo che i passeggeri gli chiedono alla fine di un volo, dato che Bruce, per chi non lo sapesse, è anche un bravissimo pilota di linea.
Breve pausa e poi la seconda parte, dove c’è spazio per le domande del pubblico. Che però non si possono fare in maniera diretta: vengono scritte su dei foglietti all’inizio dello show, raccolti dallo staff e consegnati a Bruce che li seleziona personalmente, evitando, dice “quelli che mi chiedono perché dal vivo non canto Alexander the Great”. In questo modo tutto scorre in maniera ritmata, veloce e piacevole, sebbene lo show tocchi nel complesso quasi le tre ore. E alla fine, come chicca, Bruce accenna anche a una strofa di Revelations. Poi scende dal palco e scappa via, diretto verso il futuro. Speriamo di reincontrarlo presto da qualche parte nel tempo. (Andrea Guglielmino)